Tra le principali vittime dell’infame normativa COVID19 che il governo Draghi continua a perpetrare a scapito degli interessi individuali e collettivi vi è di fatto l’impedimento per gli oppositori al Regime Sanitario di potersi muovere liberamente. Tra le principali vittime vi sono gli abitanti delle isole che di fatto in assenza di Super Green Pass non possono recarsi nel continente o rientrare nella propria abitazione se stavano altrove al 15 febbraio. Ne è stato vittima anche l’avvocato Scifo, consulente e membro del direttivo di European Consumers a cui di fatto è impedito a tornare alla sua abitazione in Sardegna.
In nome dei propri interessi e di tutte le persone nelle sue stesse condizioni ha predisposto un’accurata denuncia insieme a un membro delle forze dell’ordine. Questa denuncia, oltre a fornire importanti dati sulla serie di illegittimità relative ai diritti costituzionali e umani, può essere utilizzata anche da persone nelle sue stesse condizioni.
European Consumers invita tutti i cittadini dotati di coscienza a esercitare pressione in sede giuridica evidenziando tramite esposti e denunce circostanziate le abnormi ingiustizie che un governo eletto da nessuno sta esercitando su una serie di diritti quali la libera circolazione, la dignità individuale e la proprietà del proprio corpo.
ILL.MO SIG. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA
Il sottoscritto avv. Francesco Scifo nato a Civitavecchia il 24.06.1966 domiciliato a Cagliari presso il di lui studio legale in via Machiavelli n.45 e residente a (omissis), avvocato iscritto al foro di Cagliari e all’albo UELS del foro di Lugano, presenta il seguente
ESPOSTO-DENUNCIA
Lo scrivente avvocato è costretto a Roma dalle disposizioni contenute nei decreti legge n.ri 221/2021, 229/2021 e 1 del 2022. I primi due impugnati, per quanto attiene alle delibere del Consiglio dei Ministri presupposte, davanti al TAR Lazio dallo scrivente, nel ricorso n.21 del 2022, pendente davanti alla sezione Prima.
Con il presente atto e per le concrete motivazioni di seguito espresse, si fa presente che le suddette disposizioni impediscono allo scrivente che non intende sottoporsi ad alcuna terapia genica, ancorchè illegittimamente resa obbligatoria con decreto legge, né assumere prodotti farmaceutici autorizzati con riserva al commercio, di tornare presso il suo domicilio in Sardegna; tutto ciò avviene in assenza totale di alcuna ragione epidemiologica nazionale o locale grave documentata dal Governo ed in consapevole violazione da parte dei soggetti che si indicheranno in motivazione, della legge delega del Parlamento sulla protezione civile, nonché delle norme costituzionali e eurounitarie di seguito elencate.
Il ricorrente è cittadino dell’Unione Europea, avvocato del foro di Cagliari con studio in Roma e Lugano, ed a seguito dei suddetti decreti legge citati in epigrafe, non essendo né guarito né vaccinato contro il covid19 ma perfettamente sano, senza possibilità di avere il cosiddetto lasciapassare rafforzato dal 10 gennaio 2022, in forza dei suddetti provvedimenti è totalmente impossibilitato a utilizzare navi ed aerei e quindi a spostarsi verso e dalla regione Sardegna.
A tal fine rappresenta l’urgenza della presente denuncia e per l’emissione di un ordine dell’Autorità giudiziaria di disapplicazione dei provvedimenti in questione per contrasto con la normativa eurounitaria, in applicazione della procedura indicata dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n.17 del 2021 del Consiglio di Stato, valida per tutte le leggi in contrasto con la normativa dell’Unione.
I decreti legge del Governo e le eventuali leggi di conversione successivamente adottande, prescrivono, infatti, quanto poi declinato nel decreto legge n.229 del 2021 che all’art. 1 comma 2 afferma: Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’articolo 9,
comma 2, lettere a), b) e c-bis), del decreto-legge n. 52 del 2021, nonché ai soggetti di cui all’articolo 9-bis, comma 3, primo periodo, del decreto-legge n. 52 del 2021, l’accesso ai mezzi di trasporto e il loro utilizzo ivi indicati (navi ed aerei).
Tutti tali obblighi sono stati prescritti dalle Autorità politiche e amministrative italiane non solo utilizzando lo strumento del decreto legge in maniera eversiva dell’ordinamento costituzionale ma anche in violazione della normativa eurounitaria.
Innanzitutto si rappresenta la
- VIOLAZIONE della LEGGE 16 marzo 2017, 30 “Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile” e, conseguente,
- VIOLAZIONE del DECRETO LEGISLATIVO 2 gennaio 2018, n.1 “Codice della protezione civile”, di attuazione della legge delega n. 30/2017,
in relazione:
alla “Dichiarazione dello stato di emergenza” emanato “in conseguenza del rischio sanitario connesso con l’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, e deliberato dal Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, ai sensi dell’art.7, comma 1, lettera c) e dell’articolo 24, comma 1 del Decreto Legislativo 2 gennaio 2018, 1, e,
ad ogni conseguente altro e successivo atto, ivi compresi tutti i decreti legge emanati in relazione a tale rischio ed in particolare per quanto ha tratto:
all’articolo 1 del Decreto Legge 23 luglio 2021, 105 “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche” convertito, con modificazioni, dalla legge 16 settembre 2021, n. 126;
all’articolo 1 del Decreto Legge 24 dicembre 2021, n.221 “Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19” e alle conseguenze derivanti dal successivo:
“Decreto Legge 7 gennaio 2022, n.1” “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore, emanato proprio nell’ambito delle disposizioni adottate col Decreto Legge 24 dicembre 2021, n.221 “Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19”;
PRIMA PARTE ESAME DELLA ILLEGITTIMA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 31 GENNAIO 2020
Per giungere alla valutazione di quanto attuato dal Governo non si può prescindere dall’analisi delle disposizioni violate e poste a giustificazione dell’azione di Governo.
La Dichiarazione dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 è frutto della doppia violazione della Legge delega 16 marzo 2017, n. 30 e del decreto legislativo, di attuazione, 2 gennaio 2018, n.1, PER INESISTENTE PREVISIONE DI LEGGE nei rispettivi testi di legge del “rischio sanitario connesso con l’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” , posto a suo fondamento.
Infatti, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 2020 viola
la Legge 16 marzo 2017, n. 30, “Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile” (GU n. 66 del 20.3.2017) che, nella definizione delle linee guida programmatiche (che avrebbero dovuto essere osservate nella postulazione del conseguente Decreto legislativo di attuazione n.1/2018), dettate nel combinato disposto dell’ 1, comma 1, lettere a)1 e g)2 e comma 2, lettera a)3, ha puntualizzato i seguenti tre non superabili ambiti:
comma 1, lettera a): “le attività di protezione civile sono finalizzate alla tutela dell’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi naturali o di origine antropica”.
Come è perfettamente constatabile, il “legislatore delegante” non ha indicato nessun rischio connesso a “…patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, come indicato nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020;
- comma 1, lettera g): “la disciplina dello stato di emergenza, deve garantire (“garantendo”) la tempestività e l’omogeneità della valutazione delle condizioni dei territori ai fini della relativa dichiarazione e previsione del potere di ordinanza in deroga, in relazione alla tipologia degli eventi calamitosi”.
Anche in questo comma il “legislatore delegante” ha ulteriormente incardinato il principio che la disciplina dello stato di emergenza potesse essere adottato solo e in relazione alla tipologia degli eventi calamitosi;
- comma 2, lettera a): con tale comma invece, il legislatore delegante ha fissato un principio cardine non superabile, ovvero che nella “Identificazione delle tipologie dei rischi per i quali
- n. 30/2017 art. 1, comma 1, lettera a):
“definizione delle attività di protezione civile come insieme delle attività volte a tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi naturali o di origine antropica , articolate in attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi connessi con i medesimi eventi calamitosi, di pianificazione e gestione delle emergenze, nonché …”
- n. 30/2017 art. 1, comma 1, lettera g):
“disciplina dello stato di emergenza, garantendo la tempestività e l’omogeneità della valutazione delle condizioni dei territori ai fini della relativa dichiarazione, e previsione del potere di ordinanza in deroga a norme vigenti, ………del Servizio nazionale della protezione civile, in relazione alla tipologia degli eventi calamitosi, ………”
- n. 30/2017 art. 1, comma 2, lettera a):
“identificazione delle tipologie di rischi per i quali si esplica l’azione di protezione civile, fermo restando che non rientrano nell’azione di protezione civile gli interventi per eventi programmati e programmabili in tempo utile che possano determinare criticità organizzative”
si esplica l’azione di protezione civile, fermo restando che non rientrano (equivale a: non possono rientrare) nell’azione di protezione civile gli interventi per eventi programmati e programmabili in tempo utile che possano determinare criticità organizzative”;
dalla cui analisi emerge, a tutto tondo, che il rischio “connesso con l’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, come è stato definito nella deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, non poteva essere assolutamente considerato un “rischio suscettibile” di poter essere ricondotto nella sfera di azione del servizio nazionale della protezione civile, sia perché non derivante da eventi calamitosi, in quanto di pertinenza esclusivamente sanitaria (rischio biologico), sia per l’evidenza di far parte di eventi programmati (Piano Pandemico Nazionale del 2006) e programmabili in tempo utile in base al divenire della minaccia biologica ripetutamente segnalata dall’OMS, nonché per la perfetta conferma dell’inesistenza del rischio “connesso con l’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” nell’articolo 16 del decreto legislativo n.1/2018 “Tipologia dei rischi di protezione civile”, di attuazione dei rischi derivanti da eventi calamitosi, come indicati nel citato appena esaminato combinato disposto della legge delega;
- l’articolo 16 “Tipologia dei rischi di protezione civile”4 del Decreto Legislativo n.1/2018, che non ricomprende, né tra i rischi indicati nel comma 1, di competenza diretta e non equivoca della protezione civile, né tra quelli indicati nel comma 2, ovvero per quelli per i quali le conseguenti attività potrebbero essere assunte a carico (suscettibile di esplicarsi altresì per) della protezione civile solo, ovviamente, in casi eccezionali, si apprezza rispettivamente che il rischio da “patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, indicato nella Dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, ai sensi del comma 1, non può essere derivante da nessuno dei sette (7) eventi calamitosi in esso espressamente indicati, in perfetta sintonia programmatica con le disposizioni dell’articolo 1, comma 1, lettera a) della legge delega n.30/2017, in quanto derivante da un rischio che può essere classificato esclusivamente come BIOLOGICO, ovvero di natura prettamente e squisitamente Sanitaria. Ma, non risulta espressamente indicato neppure nel successivo comma 2 tra quei rischi per i quali l’azione del Servizio nazionale della protezione civile potrebbe essere suscettibile di essere esercitata in supporto ad altre entità istituzionali per la tipologia dei rischi indicati in tale
Infatti tra i nove rischi indicati nel comma 2, ovvero quelli “chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario e da rientro incontrollato di oggetti e detriti spaziali”, non risulta inserito quello Biologico, nel cui ambito avrebbe potuto essere fatto rientrare l’asserito rischio “da patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, indicato nella delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020.
E ciò anche in forza di quanto ancora sancito dal combinato disposto dell’art.1, comma 2, lettera a) della legge delega n.30/2017…..” (vds. NOTA 3) e dell’articolo 1, comma 3, del D. Lgs. n.1/2018 (vds. NOTA 5) che, essendo stato elaborato dal Governo delegato alla stesura del riordino della protezione civile, a sua volta, avendone recepito le linee programmatiche, ha sancito in modo espresso e non equivoco che “Non rientrano nell’azione di protezione civile “gli interventi e le opere per interventi programmati e programmabili in tempo utile” che possono determinare criticità organizzative…..” quali sono invece gli interventi derivanti dal rischio Biologico, nel cui ambito operativo sono da sempre ricomprese le patologie derivanti da agenti virali, per il cui contrasto e contenimento si deve operare con l’adozione programmata e programmabile di predisposizioni sanitarie e farmacologiche compresa la “ricerca da incentivare in tale particolare ambito sanitario” sia in ambito Nazionale sia Internazionale, a mezzo anche dell’OMS demandata al coordinamento delle problematiche sanitarie del Globo, con lo scambio di informazioni bilaterali tra i paesi appartenenti quanto meno alla NATO, di cui è membro lo Stato italiano, e seguendo peraltro persino le disposizioni approvate in epoca statuale ben diversa da quella della repubblica con il Regio Decreto 27 luglio 1934, n.1265 “Approvazione del Testo Unico delle leggi sanitarie”, in cui si apprezza, per l’epoca dittatoriale dell’allora Stato italiano in cui venne approvato tale decreto, che l’attività programmatica preventiva era di esclusiva competenza sanitaria, senza previsione alcuna di provvedimenti lesivi della libertà e dei diritti insopprimibili del cittadino, come invece è avvenuto ora, con l’attribuzione surrettizia della competenza alla protezione civile ai fini anche della previsione del potere di ordinanza in deroga e di ogni altro atto avente forza di legge.
Ciò posto, va anche fatto osservare e sottolineato che il rischio igienico-sanitario, di cui al citato comma 2, che potrebbe essere invocato da parte del Governo a giustificazione e sostegno della legittimità della “Dichiarazione dello stato di emergenza” in conseguenza del preteso “rischio sanitario” “connesso all’insorgenza di patologie virali derivanti da agenti trasmissibili”, si materializzerebbe come un goffo, ma estremo e assolutamente censurabile sotto il profilo politico (anche se comprensibile sotto il profilo umano), di evitare una plateale sconfitta legislativa in punta di diritto e di quelle forze politiche che hanno sostenuto atti illegittimi, senza denunciarne la gravità.
E su questo punto, si ritiene di dover puntualizzare che il rischio igienico-sanitario, di cui l’art. 16, comma 2 del D. Lgs. n.1 /2018 mai e poi mai avrebbe potuto offrire salvaguardia alla “Dichiarazione dello stato di emergenza” solo sulla base della parola “sanitario”, atteso che il valore semantico del rischio indicato con le parole igienico-sanitario non avrebbe potuto che escludere tout-court la sua copertura legislativa, in forza del condizionamento derivante dal trattino d’unione tra la parola “igienico” e la parola “sanitario” sì da circostanziarne il rischio in modo non equivoco come derivante da un iniziale rischio igienico che può trasformarsi in sanitario, per effetto di quegli eventi calamitosi non prevedibili e non programmabili, derivanti dai rischi indicati nel comma 1 e da taluni rischi indicati anche nel successivo comma 2, perché rientranti nell’ambito sempre di eventi calamitosi delimitati territorialmente e non comprensivi di tutto il territorio nazionale, che hanno una stretta e non equivoca valenza operativa derivante dai danni prodotti a seguito di eventi non prevedibili nel tempo e neppure per il territorio in cui andranno a verificarsi, dai quali conseguono normalmente rotture di acquedotti, di reti idriche e di condotte fognarie, che, ovviamente, ineriscono al rischio igienico-sanitario, e ne materializzano gli effetti consequenziali.
Ne consegue l’evidenza che non possa in alcun modo essere definito il “rischio sanitario” “connesso all’insorgenza di patologie virali derivanti da agenti trasmissibili”, come indicato nella Dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020 un rischio connesso al rischio IGIENICO- SANITARIO inserito dal Governo delegato nel comma 2 del’Articolo16 del Decreto Legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 del Codice della Protezione civile.
CONSIDERAZIONI CONCLUDENTI
Premessi e ben circostanziati gli elementi legislativi violati, è ora perfettamente comprensibile il motivo per il quale nel preambolo dichiarativo della “Dichiarazione dello Stato di emergenza” il Consiglio dei ministri si è guardato bene dal richiamare nel primo Visto, oltre agli articoli 7, comma 1, lettera a) e l’articolo 24, comma 3 del decreto legislativo 2018, n.1 anche l’articolo 16 dello stesso decreto legislativo, poiché sarebbe emersa immediatamente l’inesistenza del rischio assunto a fondamento della dichiarazione dello stato di emergenza, che si sarebbe posto come un ostacolo legislativo insormontabile per dare fondamenta alla “dichiarazione” iniziale dello “stato di emergenza” e, conseguentemente, per il suo consolidamento a mezzo dell’approvazione delle successive ulteriori 4 proroghe che, a loro volta, hanno consentito al Governo di adottare una ripetuta ed inusuale decretazione d’urgenza che è stata sottoposta al vaglio e alla approvazione del Parlamento a colpi di fiducia, e che, a sua volta si è materializzata nell’usurpazione della sovranità popolare di cui il Parlamento è espressione oltre a rappresentare uno sfregio ripetuto della nostra Costituzione”.
Così che risulta evidente che il Presidente del consiglio dei ministri non abbia avuto remore ad incardinare uno stato di emergenza che non aveva alcun titolo di esistere su tali presupposti ed ha optato, invece, per un atto di forza, confidando che nessuno degli organi istituzionali preposti al suo controllo di legittimità, il Presidente della Repubblica per primo, sollevasse la violazione della legge delega n. 30/2017 e dello stesso decreto legislativo n.1/2018 di attuazione.
Un richiamo legislativo, dunque, quello dell’articolo 16, da non inserire nel modo più categorico nel preambolo della Dichiarazione dello stato di emergenza, che avrebbe costituito, per l’evidenza del suo contenuto programmatico, elemento indubitabile per l’immediata esclusione della legittimità della Dichiarazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e che avrebbe fatto saltare il costrutto deliberativo, così impostato a tutto favore del Governo che, a mezzo del trasferimento dei poteri alla Protezione Civile (dipendente direttamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri) che operando di concerto con l’apparato dell’Istituto Superiore di Sanità (che dipende a sua volta dal Ministro della Salute), avrebbe precostituito le condizioni per un nuovo corso del Governo Conte prima e del Governo Draghi dopo, fondativo di atti che non possono non essere considerati come perfezionanti il delitto di usurpazione di un potere politico, in particolare della funzione legislativa del Parlamento, che il Governo continua ad esercitare indebitamente con decreti legge ad efficacia differita, quindi in violazione dell’art. 77 della Costituzione per il difetto del requisito dell’urgenza, così persistendo nella violazione dell’articolo 287 del codice penale.
SECONDA PARTE
RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO DELLA SALUTE IN RELAZIONE ALLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA ADOTTATA DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 31 GENNAIO 2020
Alla luce delle osservazioni formulate nella prima parte del presente esposto, risulta del tutto evidente domandarsi , conseguentemente, il motivo per il quale il Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 abbia violato così palesemente la legge delega e, conseguentemente anche il Decreto Legislativo n.1/2018, avviandosi su un percorso ricco di insidie, anche se nessuno ne ha denunciato la violazione. Ebbene il motivo non può non risiedere se non nella precisa volontà di non far emergere le pesantissime responsabilità del Ministero della salute, e di tutti i Ministri della salute succedutisi dal 2006 al 2020, che avrebbero dovuto, per tempo, esercitare il controllo e l’indirizzo degli organi del ministero della salute nella programmazione e nella predisposizione del Piano Pandemico Nazionale, in forza del quale, all’insorgere di una qualsivoglia PANDEMIA, anche solo influenzale da coronavirus, o da altro agente eziologico o patogeno, lo Stato Italiano sarebbe stato in grado di intervenire attraverso le strutture sanitarie di tutto il territorio della Repubblica già adeguatamente preparate e già in possesso di ogni mezzo e ausilio tecnico sanitario necessari, già opportunamente implementati, e logisticamente predisposti, per la loro immediata distribuzione territoriale, da effettuarsi unitamente alle importanti scorte farmacologiche precostituite allo specifico scopo, alla stregua degli ausili di prevenzione personali ecc, ecc, per fare fronte ad una possibile e prevedibile emergenza sanitaria derivante dalla minaccia di patogeni virali.
All’uopo, va dunque ricordato che il nostro Ministero della sanità all’inizio dell’anno 2006, come ogni altro organismo sanitario di tutti gli altri 194 Stati membri dell’ONU, venne invitato dall’OMS (ovvero da parte di questa particolare Agenzia delle Nazione Unite specializzata in questioni sanitarie), in conseguenza delle esperienze acquisite ed elaborate da questa Agenzia per: a) la pandemia aviaria da virus H5N1 del 2002-2003; b) l’epidemia SARS Cov da Coronavirus del 2003-2004; c) e per quella verificatasi in Cina nell’anno 2005 ancora a causa del virus H5N1, a predisporre un apposito documento programmatico da elaborarsi sulla falsa riga di quello elaborato e diramato agli Stati aderenti dalla stessa OMS.
Il Titolo che venne attribuito a tale documento redatto ed emanato dall’OMS in data 27 gennaio 2006 è:
“Bozza di Protocollo OMS per risposta e contenimento rapido di pandemia influenzale” (http://www.who.int/csr/disease/avian_influenza/guidelines/RapidResponse_27%2001.pdf)
che venne aggiornato dalla stessa OMS nella successiva edizione del 30 maggio 2006, ai fini preventivi e pianificativi della risposta da offrire alle ipotizzabili future pandemie potenzialmente derivanti dalle minacce degli agenti patogeni della Sindrome respiratoria acuta grave (Sars) o dell’influenza aviaria altamente patogenica (Hpai).
In base alle indicazioni programmatiche suggerite appositamente dall’OMS con la citata Bozza, il Ministero della Salute Italiano elaborò e predispose nello stesso anno 2006 il cosiddetto “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” 6 del 10 febbraio 2006.
Dalla sua semplice lettura si ha ulteriore prova che l’asserito rischio sanitario connesso con l’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili indicato a giustificazione della Dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020 non avrebbe mai potuto essere proposto atteso che il citato rischio sanitario avrebbe dovuto essere affrontato con l’applicazione del “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” sol che fosse risultato aggiornato e reso effettivamente operativo ad ogni livello sanitario.
L’elusione tout court di tale Piano pandemico si palesa conseguentemente come l’elemento psicologico del dolo e della premeditazione del Governo per trasferire in modo surrettizio una serie di poteri alla protezione civile che, dipendendo dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, avrebbe consentito di incentrare nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri una serie di poteri tali da esautorare il Parlamento della sua precipua azione legislativa, superata a mezzo di DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) e parallelamente anche da una decretazione d’urgenza. Una sorta di sofisticata eversione dell’ordine democratico, attuata prima a mezzo della Dichiarazione dello stato di emergenza e successivamente da tutti gli atti emanati dal governo o dal Presidente del Consigli dei Ministri, inaccettabili per la serietà del Governo che avrebbe dovuto, invece, perseguire i responsabili dell’omesso aggiornamento del piano pandemico nazionale.
Dunque, la risposta istituzionale che lo Stato, a mezzo del Ministero della salute, avrebbe dovuto offrire a tutela della salute dei cittadini, non avrebbe non potuto non essere affrontata che con la attuazione del citato “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale”, così che la Pandemia da Sars cov2, è stata affrontata tacendo l’impreparazione colpevole dello Stato per responsabilità dirette di tutti i Ministri della salute succedutisi dal 2006 in avanti e dei Funzionari preposti al suo aggiornamento triennale che non avevano provveduto ad alcun suo aggiornamento e ad alcuna attuazione pratica di tutti i punti programmatici da esso derivanti, da cui sarebbero dovute scaturire le gare di appalto preventive per gli approvvigionamenti delle scorte dei materiali sanitari necessari, per il potenziamento delle strutture sanitarie e per quelle, eventualmente da realizzare, per l’ampliamento degli stessi organici sanitari, e così via dicendo per ogni elemento necessario a superare la futuribile crisi sanitaria con un adeguato e previdente potenziamento della sanità pubblica.
Poiché questa attività di specifico e peculiare ambito del Ministero della Sanità è risultata di fatto inesistente, il Governo, invece di denunciare le colpevoli responsabilità degli organi del Ministero della Sanità a ciò preposti e chiedere al Parlamento di essere autorizzato eccezionalmente a fronteggiare la nuova Pandemia Sars Cov2, ai sensi delle disposizioni del Decreto Legislativo 2 gennaio 2018, n.1, auspicando l’immediata approvazione di una sua modifica con un apposito decreto legge di integrazione e di modifica dell’art. 16, comma 2, con l’inserimento, dopo la parola “nucleare”, delle parole “biologico, nel caso in cui il Ministero della Sanità non sia in grado di affrontare l’emergenza da agenti patogeni, eziologici e/o virali”, che avrebbe permesso di adottare i conseguenti provvedimenti necessari ad affrontare la pandemia, senza esautorare surrettiziamente il Parlamento, ma nel rispetto assoluto e trasparente del suo ruolo sovrano, mentre ha optato, invece, per la violazione dei limiti di legittimità dell’azione del Governo ex articolo 77 della Costituzione.
Risulta evidente quindi, che il Governo, solo adottando tale procedura legislativa, avrebbe potuto procedere alla legittima Dichiarazione dello stato di emergenza dopo l’avvenuta approvazione nel senso appena indicato della modifica legislativa dell’Articolo 16, comma 2.
Questa procedura non solo no è stata adottata, ma il Governo ha avuto la pretesa di far passare come legittima la Dichiarazione dello stato di emergenza, si da avviare conseguentemente, su falsi presupposti di legge, non ricomprendenti il “rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, tutti gli atti di governo che hanno inciso e condizionato la libertà dei cittadini, giungendo a provvedimenti susseguitisi dalla dichiarazione dello stato di emergenza, restrittivi e coercitivi della libera determinazione dell’individuo in ordine alla vaccinazione resa obbligatoria inizialmente per alcune categorie di pubblici dipendenti e, surrettiziamente invece, per tutti i cittadini, al fine di poter godere dei diritti sanciti nella Costituzione, e tra essi il libero accesso ad una serie di servizi pubblici e di servizio, che costituiscono per loro natura la continuità dell’elemento psicologico del dolo e della premeditazione dell’eversione dell’ordine democratico.
Dunque, una copertura che non è stata sufficiente, però, a non avere contezza che il mancato aggiornamento del “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” fosse la causa di quanto avvenuto anche per effetto della denuncia giornalistica del pubblico servizio televisivo della RAI di cui al programma Report di RAI Tre del 30 novembre 2020 e successive trasmissioni (servizio peraltro ripreso anche da altre testate televisive private), che hanno portato all’attenzione della pubblica opinione l’esistenza di tale fondamentale Piano Nazionale Sanitario Pandemico, di cui sarebbe stato responsabile il dottor Ranieri GUERRA nel periodo in cui ricoprì la carica di direttore generale dell’ufficio di Prevenzione del Ministero della Salute.
Non si può –ai fini di giustizia– peraltro, fare finta di nulla laddove, come nel caso di specie, l’omesso aggiornamento di tale Piano con ogni conseguente mancato potenziamento delle strutture sanitarie, degli ausili tecnico sanitari e la mancata predisposizione di un protocollo di cura specifico ai fini della risposta da dare alla nuova potenziale minaccia da agenti patogeni, non può non essere considerato come una delle disfunzioni degli apparati sanitari, se non la principale disfunzione da cui, a cascata, è derivata l’impreparazione italiana nel gestire la pandemia, a seguito della quale sono deceduti oltre 140.000 cittadini, a cui uno Stato di diritto non può non portare rispetto e dare giustizia, anche se postuma, perseguendo i responsabili di una simile strage.
Cittadini che sono deceduti, anche e sicuramente per gli effetti della inesistente predisposizione ed attuazione degli elementi costitutivi di tale Piano Nazionale Pandemico, principale strumento che costituisce uno strumento fondamentale in materia di tutela della salute.
Dunque, tale Piano che si è appreso costituisce lo strumento fondamentale di pianificazione e di programmazione pluriennale ai fini della tutela della salute anche dalle minacce di agenti patogeni, e che era conosciuto solo agli addetti, ma sconosciuto al popolo e che è stato tenuto stranamente riservato da parte del competente Ministero della Salute, è risultato non essere stato più aggiornato dall’anno 2006, anno della sua stesura, fino all’anno 2021, nonostante la successiva pandemia influenzale verificatasi nel 2009-2010, denominata influenza suina, e quella di un inizio anno per la MERS-CoV del 2012, con ogni connessa e conseguente responsabilità dei direttori generali dell’ufficio di Prevenzione del Ministero della Salute e dei Ministri della Salute che dall’anno 2006 non hanno più provveduto al suo aggiornamento, neppure in ordine al potenziale nuovo pericolo sanitario globale derivante dalla ingegnerizzazione detta “gain of function” (ricerca sul guadagno di funzione) di un virus chimera avvenuto nel centro di virologia cinese di Wuhan, per opera degli scienziati virologi USA Ralph BARIC e Cinese She ZhengLi.
Virus chimera, come venne chiamato, che balzò agli onori della pubblica cronaca a mezzo della trasmissione sorella della RAI del Tg3 del programma Leonardo, mandata in onda il giorno 16 novembre 2015, con un apposito servizio, dal titolo “Coronavirus: Il caso del video del Tgr Leonardo 2015 sul super virus creato in Cina” (che è stato oggetto, seppur tardivo, nella seduta n.208 del 21 aprile 2020 del Senato della XVII Legislatura anche dell’Atto di Sindacato Ispettivo n.4-03218 https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1150196/index.html), e di cui non si può non ritenere che i servizi di sicurezza italiani non potessero non esserne stati informati direttamente o indirettamente e di conoscerne la pericolosità, anche ai fini militari, nell’ambito dello scambio delle informazioni tra i paesi appartenenti alla NATO a cui appartiene l’Italia.
Ma soprattutto che questi organi istituzionali, demandati alla sicurezza nazionale, non ne avessero riferito diligentemente all’Autorità di Governo responsabile in carica, per le opportune azioni di tutela sia in ambito militare sia in ambito civile a tutela della popolazione, e che, non si sarebbero non potute affrontare e pianificare, ai fini della implementazione della Sicurezza Nazionale se non a mezzo dell’aggiornamento del “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” (Nota 6), già suggerito, come detto, dall’OMS.
Risulta così perfettamente documentata sotto altro profilo:
- la fallace pretesa di giustificare lo “Stato di Emergenza” dichiarato dal Governo il 31 gennaio 2020 attraverso il richiamo all’ 7, comma 1, lettera c)8 e all’art. 24, comma 19 del D. Lgs. 2 gennaio 2018, n.1, “Codice della Protezione Civile” (che è stato riproposto anche in ogni successiva deliberazione del Consiglio dei ministri e poi anche nei due decreti legge di proroga) in cui si riscontra inspiegabilmente la omessa citazione dell’art.16 “Tipologia dei rischi di protezione civile” (Articolo 1-bis, 2 e 3-bis legge 225/1992), riportato nella nota 5, che da solo esclude, ictu oculi, qualsiasi ipotesi di legittima dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per “agenti virali trasmissibili”, ovvero per un rischio che rientra invece nel campo Biologico, in quanto è la BIOLOGIA che studia le interazioni eziologiche dei virus, e che non è rinvenibile tra quelli espressamente indicati in tale articolo.
A tal fine, si sottolinea:
- che non si può non ipotizzare che -a seguito della presente denuncia- il Governo possa tentare di accreditare il rischio igienico-sanitario di cui la comma 2 a supporto del “rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” posto a giustificazione sia della iniziale delibera dello stato di emergenza, sia delle successive altre quattro delibere, e sia poi dei due decreti legge oggetto di esame nella presente denuncia, che, invece, è stato smontato punto per punto, in quanto rientrante solo nei rischi di ordine Biologico;
- che la presenza in ambito militare della Difesa di una organizzazione NBC (Nucleare, Biologica e Chimica) che avrebbe dovuto indurre il Governo, delegato dal Parlamento alla stesura del Codice di Protezione Civile, all’inserimento tra i rischi di protezione civile anche di quello Biologico, invece, non lo ha fatto poiché il settore biologico militare è un settore minimale della Sanità Militare operante in coordinamento con la Sanità Nazionale a cui l’OMS ha da sempre demandato la valutazione e gestione delle pandemie
Se, dunque il Governo delegato alla stesura del decreto legislativo non ha optato per l’inserimento nel comma 2 dell’art. 16 del D. Lgs. n.1 /2018 dopo le parole nucleare e chimico della parola biologico, è del tutto evidente che lo abbia fatto poiché un qualsiasi rischio Biologico, ovvero derivante da un agente eziologico o virale patogeno (ovvero ad un organismo vivente che ha la capacità di provocare fenomeni morbosi) era ed è di ordine specificamente e prettamente Sanitario.
Tale peculiarità è confermata dalla circostanza di fatto che a seguito dell’Ordinanza emessa dal Capo della Protezione Civile 3 febbraio 2020 n. 630 – “Primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, con Decreto dello stesso Capo Dipartimento della Protezione Civile n.37110 del 5 febbraio 2020, e per lo stesso rischio sanitario è stato istituito il Comitato Tecnico Scientifico previsto dall’articolo 2, comma 1, della precedente ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, modificato con successiva Ordinanza del 17 marzo 202111, così che ora risulta costituito da:
- Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di sanità del Ministero della salute con funzioni di coordinatore del Comitato;
- Silvio Brusaferro, Presidente dell’lstituto Superiore di Sanità – con funzioni di portavoce del Comitato;
- Sergio Fiorentino, Avvocato dello Stato, Capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di Segretario verbalizzante;
- Sergio Abrignani, rappresentante indicato dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome;
- ssa Cinzia Caporale, Presidente del Comitato Etico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”;
- Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia di Stato, esperto di medicina delle catastrofi in rappresentanza del Dipartimento della protezione civile;
- Giuseppe Ippolito, Direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”;
- Giorgio Palù, Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA;
- Giovanni Rezza, Direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute;
- Sono altresì componenti del Comitato tecnico-scientifico di cui al comma 1 i seguenti esperti:
- Alberto Giovanni Gerli, esperto informatico analisi previsionali;
- Donato Greco, esperto epidemiologico;
- ssa Alessia Melegaro – Direttore Covid Crisis Lab Università Bocconi,
ove si rinvengono esperti in epidemiologia e malattie infettive, nella prevenzione sanitaria e nella medicina delle catastrofi, il presidente di AIFA e il Presidente del Consiglio Superiore di sanità del Ministero della salute e si constata che la rilevanza sanitaria dei componenti di tale comitato scientifico non lascia dubbi circa la competenza specifica del Ministero della Salute che a mezzo di tali organi avrebbe dovuto essere già operante ai fini preventivi e rientrante nel Piano Nazionale Sanitario Pandemico, alla data del 31 gennaio 2020, senza che vi dovesse provvedere il Capo Dipartimento della Protezione Civile con poteri in deroga come individuati nell’articolo 3 “Deroghe” e all’articolo 4 “Procedure di approvazione dei progetti” della prima ordinanza del 3 febbraio 2020
- 630, che potrebbe far presupporre un enorme danno provocato surrettiziamente all’erario con la Dichiarazione dello stato di emergenza, che si sarebbe potuto evitare sol che a tali attività il Ministero della salute vi avesse provveduto dal 2006 al 2020, aggiornando il Piano Nazionale Pandemico, nell’ambito delle normali attività dell’ufficio di Prevenzione del Ministero della Salute.
Questo ulteriore elemento di valutazione, certifica la cosciente e sciente volontà del Governo, delegato alla stesura del D. Lgs. 2 gennaio 2018, n.1, di aver voluto tenere estraneo il “rischio Biologico” dalle competenze della Protezione Civile, nella piena convinzione e assicurazione avuta dallo stesso ministero della sanità che fosse più che sufficiente il puntuale aggiornamento del “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” da parte del Ministero della Salute, per affrontare qualsiasi futura pandemia influenzale.
Piano peraltro consolidatosi con la sua stesura avvenuta nell’anno 2006 (come visto, su indicazioni dell’OMS, che risulta presente, peraltro, in Italia, con una sua sede operativa a Venezia), sul cui aggiornamento avrebbero dovuto vigilare i Ministri della Salute succedutisi dall’anno 2006 in avanti;
- che, se il Governo, tramite il Ministero della Salute Italiano, avesse provveduto a far attuare l’aggiornamento del “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” redatto nel 2006, a seguito del citato indirizzo OMS e del suo successivo aggiornamento del 30 maggio 2006, e tale Piano fosse stato aggiornato diligentemente alla luce delle novità virologiche succedutesi dal 2006 in avanti con appositi protocolli di cura antivirali, come indicato in tale miliare documento, l’Italia non si sarebbe trovata completamente impreparata, come nella realtà dei fatti è avvenuto, dal mese di febbraio 2020 in avanti, per la mancanza persino di quelle “scorte” (indicate alle pagine 8 e 9 della prima Bozza di Protocollo OMS di cui al testo tradotto in italiano), puntigliosamente riportate al paragrafo n. 3 dal titolo SCORTE, di cui qui di seguito si trascrive la parte che, ictu oculi, fa emergere le responsabilità di mala gestione ministeriale, al fine di rendere evidenti, in tal modo, le responsabilità dei Governo e del Ministero della Salute, in particolare:
– kit di attrezzatura protettiva personale (Ppe) consistenti in:
. maschere chirurgiche ed N-95;
. guanti chirurgici;
. occhiali protettivi;
. copri-stivali usa e getta;
. salviettine disinfettanti per l’attrezzatura;
. borsa per l’adeguato smaltimento di oggetti contaminati a rischio biologico;
. indicazioni mediante pittogrammi;
– sapone o disinfettanti per la pulizia delle mani;
– disinfettante per la pulizia di superfici in ambienti sanitari;
- istruzioni scritte che siano facilmente comprensibili da varie culture;
- farmaci antivirali (oseltamivir in compresse da 75 mg);
- antibiotici per la copertura delle forme più comuni di polmonite secondaria.
Paragrafo tra i più significativi, in cui si apprezza l’indicazione di farmaci antivirali e di antibiotici,
TANTO CHE, conseguentemente STRIDE FORTEMENTE, MA COLPEVOLMENTE, LA PRESCRIZIONE MINISTERIALE DEL PROTOCOLLO DI CURA “a base di Tachipirina e Vigile Attesa”, della prima ora, quasi che il “Piano Nazionale di Preparazione e Risposta ad una Pandemia Influenzale” elaborato dal Ministero della Salute in quello stesso anno e a seguito della citata Bozza di Protocollo OMS, sia rimasto solo un atto di pura formalità documentale, per non essere state neppure assicurate quelle scorte, come le mascherine chirurgiche, che avrebbero consentito di contrastare l’espandersi del contagio.
E quello che fa male al cuore è l’aver constatato che l’OMS in tale paragrafo aveva anche indicato la cura che avrebbe dovuto essere adottata, nel caso di pandemia virale, a mezzo di farmaci antivirali ed antibiotici, che contrasta fortemente ed inspiegabilmente con il protocollo ministeriale “a base di Tachipirina e Vigile Attesa”, che è ancora vigente.
Quello che sconcerta nella adozione di tale assurdo protocollo ministeriale è che -a fronte delle pandemie succedutesi dal 2002 in avanti- i tecnici del Ministero della Salute non abbiano proceduto ad effettuare alcuna minimale valutazione della potenziale efficacia dei farmaci impiegati nella cura almeno della SARS-CoV del 2002-2003, tale per cui si potesse presupporre di poterli continuare ad impiegare a scopo preventivo e precauzionale nella nuova pandemia SARS-CoV2, unitamente ad altri farmaci antivirali indicati dagli stessi virologi USA e Cinesi che avevano proceduto ad ingegnerizzare negli anni 2014-2015 quel virus chimera portato agli onori della cronaca italiana nella citata trasmissione d’inchiesta andata in onda nell’anno 2015 da parte della RAI.
A ciò si aggiunga un altro elemento di valutazione che trae origine dalla “Bozza di protocollo OMS per risposta e contenimento rapidi della pandemia influenzale”, di cui all’aggiornamento al 30 maggio 2006 effettuato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel cui indice sono riportati i sottonotati punti programmatici per affrontare la pandemia influenzale, con a fianco l’indicazione della pagina: INDICE
Quadro generale
Riconoscere l’evento: rilevamento, indagine e relazioni sui segnali preliminari
7 Verificare l’evento: valutazione del rischio, misure immediate di controllo e messa in campo di squadre internazionali
9 Contenere l’evento: operazione di risposta e contenimento rapidi 11 Fase uno: misure standard per ridurre la trasmissione
11 Fase uno: misure standard per ridurre la trasmissione
14 Fase due: misure eccezionali, compreso l’uso delle scorte antivirali 16 Utilizzo delle scorte di antivirali per l’operazione di contenimento
- Allegato 1: Diagramma di flusso per le operazioni di risposta e contenimento influenzale
- Allegato 2: Linee guida per pianificazione, predisposizione e rapporti sulla scorta globale antivirali OMS
30 Allegato 3: SOP (Procedura Operativa Standard) per richiesta e distribuzione della scorta globale antivirale OM
44 Allegato 4. Ruoli e responsabilità di paesi e OMS per risposta e contenimento rapidi
48 Allegato 5: Comunicazioni operative OMS
tra i quali spiccano ripetuti riferimenti all’uso delle scorte antivirali, sinonimo che il Ministero della Sanità italiana avrebbe dovuto tenere nella più alta considerazione tali suggerimenti e, conseguentemente, avrebbe dovuto adottare tutte le più opportune azioni idonee alla costituzione di una buona scorta di quei farmaci antivirali già impiegati per la cura delle note pandemie del primo decennio degli anni 2000 e di quelli potenzialmente efficaci e messi a punto nell’ambito della minaccia derivante dalla ingegnerizzazione del virus chimera nato dalla collaborazione americano- cinese, che non poteva non aver implicato necessariamente anche la ricerca del farmaco e della cura idonei a curare gli addetti ai lavori per sopperire all’eventuale e deprecato caso del loro contagio, anche quali elementi di certezza sanitaria in caso di un ulteriore ed altrettanto deprecato caso di contagio esterno propagabile nella popolazione.
Poiché nessuna precauzione è stata adottata dal 2006 al 2020, sulla base di dichiarazioni dell’inesistenza di cure, il Ministro della Salute ed AIFA imponevano il protocollo “a base di Tachipirina e Vigile Attesa, che è ancora vigente, per curare i cittadini contagiati dalla SARS-CoV2, anche se il TAR per il Lazio con la sentenza n.00419/2022 RPC e n. 06949 RR ha accolto il ricorso proposto da alcuni medici del Lazio e ha annullato il 15 gennaio 2022 la circolare del Ministero della Salute (aggiornata al 26 aprile 2021) che perseverava nel prescrivere ai pazienti con infezione da SARS-CoV-2 “paracetamolo” e “vigile attesa”, in quanto “si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale”, venendo così sconfessato il procedimento disciplinare, fondato sul discostamento dai protocolli ministeriali, a cui erano stati sottoposti molti medici che, agendo in scienza e coscienza, erano riusciti a portare alla guarigione i pazienti affetti da Sars-CoV2 mediante cure domiciliari od ospedaliere.
Quello che sconcerta è il provvedimento con il quale il Presidente del Consiglio di Stato, con atto monocratico, e, verosimilmente su impugnazione della sentenza del Tar Lazio da parte del Ministero della salute, ha sospeso la sentenza del TAR Lazio, rimandando alla camera di consiglio fissata per il giorno 3 febbraio 2022, quando è ormai operante il Piano Pandemico Influenzale 2021-2023 che ha modificato il passaggio sulla cura dei pazienti in caso di scarsità di risorse.
Ora invece con il nuovo piano pandemico triennale, che conferma, indirettamente (quando i buoi sono fuggiti dalla stalla), le responsabilità pesantissime del Ministro della Sanità per non aver vigilato sul suo costante aggiornamento, prevede che:
““Il medico (o l’operatore sanitario), agendo in scienza e coscienza, valuta caso per caso il bisogno clinico dei pazienti secondo i criteri clinici di urgenza, gravosità e efficacia terapeutica, nel rispetto degli standard dell’etica e della deontologia professionale; gli interventi si basano sulle evidenze scientifiche e sono proporzionati alle condizioni cliniche dei pazienti, dei quali è tutelata la dignità e riconosciuta l’autonomia””.
Ma sconcerta ancora di più l’aver dovuto prendere atto che il Comitato Tecnico Scientifico composto da eminenti esperti in epidemiologia e malattie infettive, nella prevenzione sanitaria e nella medicina delle catastrofi, dal presidente di AIFA e dal Presidente del Consiglio Superiore di sanità del Ministero della salute, non siano stati in grado di indicare i farmaci e una cura domiciliare diversa dal protocollo di Tachipirina e Vigile Attesa”, un modo sanitario da Ponzio Pilato da cui non si può non ritenere che siano dipese le decine di migliaia di ricoveri di cittadini ormai in gravi condizioni che si sono aggravati nonostante il ricovero in terapia intensiva e sono deceduti perché dopo le prime morti non sono state date le indicazioni di procedere agli esami autoptici che avrebbero fatto emergere l’errata valutazione delle polmoniti interstiziali come causa del decesso invece che polmoniti da trombosi.
CONSIDERAZIONI CONCLUDENTI
Da quanto è stato fatto osservare, consegue, pertanto, che, per affrontare le criticità derivanti da eventi programmati o programmabili in tempo utile, come fissati nell’art.1, comma 2, lettera a), della legge delega n.30/2017, l’unico strumento idoneo per affrontare un futuro “rischio biologico” da pandemia influenzale, NON AVREBBE POTUTO CHE FONDARSI, proprio allo scopo di potenziare il sistema sanitario nazionale, nel puntuale aggiornamento del “PIANO NAZIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA AD UNA PANDEMIA INFLUENZALE”, che, invece, non è stato aggiornato, fino al 2020 (ovvero in corso di pandemia da SARS CoV2 è stata elaborata una nuova bozza di piano pandemico influenzale titolato ““PIANO STRATEGICO- OPERATIVO NAZIONALE DI PREPARAZIONE E RISPOSTA A UNA PANDEMIA INFLUENZALE (Pan-Flu) 2021-2023””).
Come risulta evidente, dunque, la mancanza di un piano pandemico aggiornato, incardinato su provvedimenti attuativi di predisposizione di ogni ausilio sanitario e tecnico, supportati da personale specializzato e addestrato, che avrebbe consentito di poter affrontare adeguatamente il rischio biologico derivante da una prevedibile e preannunciata futura pandemia influenzale derivante dalla nota ingegnerizzazione con la tecnica denominata “gain of function” dei Coronavirus avvenuta nel centro virologico cinese di Wuhan e in altri identici centri di virologia dei paesi più avanzati tecnologicamente, tra i quali gli USA e la Gran Bretagna, che potevano sottendere anche alla realizzazione di una arma biologica, rappresenta il motivo della completa impreparazione dell’Italia ad affrontare una pandemia influenzale.
ILLEGALITA’ CONNESSE ALLA DICHIARZIONE INIZIALE DELLO STATO DI EMERGENZA E ALLE SUCCESSIVE PROROGHE
Alla luce di quanto espresso nei punti che precedono, dare corso, quindi, alla applicazione del Decreto Legge 7 gennaio 2022, n.1 si profila totalmente illegittimo e anticostituzionale siccome derivante dalla illegittima “Delibera dello Stato di Emergenza” adottato con la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” (GU n. 26 del 1.02.2020), per sei mesi fino al 31 luglio 2020
e, prorogato con le sottonotate successive deliberazioni:
- Delibera del Consiglio dei Ministri 29 luglio 2020………………………………… fino al 15 ottobre 2020;
- Delibera del Consiglio dei Ministri 7 ottobre 2020…………………………….. fino al 31 gennaio 2021;
- Delibera del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2021……………………………… fino al 30 aprile 2021
- Delibera del Consiglio dei Ministri 21 aprile 2020…………………………………… fino al 31 luglio 2021;
poi, ancora prorogato con :
- Decreto Legge 23 luglio 2021, 105 -art.1, comma 1- convertito, con modificazioni, dalla legge 16 settembre 2021, n. 126, fino al 31 dicembre 2021;
- Decreto Legge 24 dicembre 2021, 221 -art.1, comma 1- non ancora convertito in legge, fino al 31 marzo 2022.
OSSERVATO CHE
il Governo, con il decreto legge 23 luglio 2021, n.105, convertito con modificazioni dalla legge 16 settembre 2021, n.126, ha interrotto inopinatamente la procedura delle deliberazioni del Consiglio dei ministri iniziata il 31 gennaio 2020 e consolidata ai sensi dell’Art. 7, comma 1, lettera c) e dell’Art.24, comma 3, del D. Lgs n.1 /2018, ai fini della proroga dell’iniziale “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, ed ha fatto ricorso per la successiva proroga -da adottarsi prima del 31 luglio 2021, data di scadenza di quella adottata dal Consiglio dei ministri del 21 aprile 2021- alla procedura della decretazione d’urgenza, condizionata però dal dover essere convertita in legge dal Parlamento,
che appare del tutto inspiegabile, vista la copertura offerta dal combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’articolo 24 del D. Lgs. n.1 /2018, per la prosecuzione naturale delle proroghe necessarie per legittimare la durata dello stato di emergenza non superiore ai 12 mesi, prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi.
Se, conseguentemente, il Governo ha optato per seguire la strada legislativa, che non era necessaria, non si può non ritenere che l’abbia scelta per conseguire un obiettivo! … nel prosieguo si comprenderà quale fosse.
- Non può sfuggire, come deduzione, l’adozione per la prima volta, della specifica “titolazione” come “Dichiarazione stato di emergenza nazionale” dell’articolo 1, destinato a sancirne la proroga, con una formulazione capace di fondare verosimilmente il dubbio che possa trattarsi di una dichiarazione dello stato di emergenza diverso da quello delle precedenti 4 deliberazioni del Consiglio dei ministri, per le seguenti osservazioni.
Nel decreto legge 23 luglio 2021, n.105, convertito con modificazioni dalla legge 16 settembre 2021, n.126, si apprezzano le seguenti due particolarità:
- l’articolo 1 “Dichiarazione stato di emergenza nazionale” avrebbe dovuto essere titolato in conseguenza della connessa formulazione legislativa come “Proroga dello stato di emergenza”;
- nella “formulazione legislativa” del comma 1, si rinviene per la prima volta la modificazione del primigenio “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, con la seguente diversa descrizione legislativa:
““In considerazione del rischio sanitario connesso al protrarsi della diffusione degli agenti virali da COVID-19, lo stato di emergenza dichiarato con deliberazione del 31 gennaio 2020, prorogato con deliberazioni del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020, 7 ottobre 2020, 13 gennaio 2021 e 21 aprile 202, è ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2021””,
in cui si è potuto apprezzare l’omesso riferimento agli effetti dell’art. 24, comma 3 del decreto legislativo n.1 del 2018, sempre richiamato nel preambolo di tutte le precedenti deliberazioni del Consiglio dei ministri, mentre non si sono potuti apprezzare tutti i possibili diversi risvolti giuridici connessi a tale disposizione legislativa, se non nel momento stesso in cui il Governo con l’ulteriore Decreto Legge 24 dicembre 2021, n. 221 ha riproposto nell’articolo 1 (identica titolazione), comma 1, una ulteriore proroga che andava a superare il disposto di cui all’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.1, incardinando la supposizione di aver voluto dare corso ad un nuovo e diverso stato di emergenza.
CIO’ PREMESSO E CONSIDERATO CHE
- il Governo con il Decreto Legge 24 dicembre 2021, n. 221 “Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19”, ha titolato ancora l’Articolo 1 come “Dichiarazione dello stato di emergenza nazionale”, con la seguente quasi identica “formulazione legislativa” del comma 1, dell’1, comma 1 del decreto legge 23 luglio 2021, n.105, così formulato:
“In considerazione del rischio sanitario connesso al protrarsi della diffusione degli agenti virali da COVID-19, lo stato di emergenza dichiarato con deliberazione del 31 gennaio 2020 è ulteriormente prorogato fino al 31 marzo 2022”,
ove si apprezza la novità, quale quella di aver prorogato lo stato di emergenza dichiarato con deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, non fino alla data del 31 gennaio 2022, data di fine dello stato di emergenza prorogato ai sensi dell’art. 24, comma 312 del Decreto Legislativo 2 gennaio 2018, n.1, ma fino alla data del 31 marzo 2022, data eccedente di ben due mesi quella derivante dal disposto del citato art. 24, comma 3.
- Da quanto constatato oggettivamente non si può non essere portati a dubitare che con il Decreto Legge 24 dicembre 2021, n. 221 il Governo abbia concretamente consolidato surrettiziamente “un nuovo” “stato di emergenza nazionale”, iniziato il 1° agosto 2021, col presupposto:
- di incardinare il principio che lo stato di emergenza iniziale dichiarato in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili sia terminato già il 31 luglio 2021 e ne sia stato dichiarato un altro, poiché il rischio sarebbe mutato e ciò, in conseguenza della modificazione stessa della formulazione del rischio, apportata ed esplicitata legislativamente con la prima decretazione d’urgenza di cui all’Articolo 1 del decreto legge 23 luglio 2021, 105, convertito con modificazioni dalla legge 16 settembre 2021, n.126;
- di consolidare proprio col Decreto Legge 24 dicembre 2021, 221 l’operatività del “nuovo stato di emergenza” dichiarato già col decreto legge 23 luglio 2021, n.105, poiché le disposizioni “dell’art. 24 , comma 3 del D. Lgs. n. 224/2018, non riguardano più l’iniziale dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, ma il nuovo stato di emergenza iniziato a decorrere dal 1° agosto 2021;
Dette considerazioni trovano peraltro conforto nella circostanza che il Governo non ha provveduto a giustificare la proroga eccedente di due mesi il 31 gennaio 2022, che non può trovare legittimazione legislativa, se non in forza dell’ipotesi forzata e limite (ancorché ancora non fondata su
12 Art. 24, comma 1 D. Lgs. n.224/2018 “La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12
mesi, ed è prorogabile per non più di 12 mesi”
alcuna base legislativa sempre perché il nuovo rischio non può essere ricompreso nell’articolo 16 del d. Lgs. n.1/2018) di aver dato corso ad un nuovo stato di emergenza nazionale, prendendo spunto dalla indicazione errata riportata nel Regolamento (UE) n.953/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021, circa la definizione delle norme sul “”rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione (di cui non è stato indicato il virus, mentre, per puntualità per non dare luogo ad errati sillogismi, come invece è avvenuto, avrebbe dovuto essere indicato il virus SARS CoV2), di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID- 19””, così che, con tale ultima definizione di indicazione della “pandemia di COVID-19”, la stessa Unione Europea ha commesso il plateale errore, di aver etichettato la pandemia con la malattia COVID- 19 che consegue dal contagio dal virus SARS-CoV2, per il quale è stata dichiarata la pandemia dall’OMS.
A prescindere da questa confusione non di poco conto della titolazione del Regolamento UE n.953/2021, che ha dell’inverosimile solo pensare che possa essere sfuggita al controllo di due organi politici quali sono il Parlamento europeo e il Consiglio, detto Regolamento è assurto agli onori della cronaca per essere stato oggetto di una integrazione al considerando paragrafo 36, nella parte in cui risultava essere stata omessa -nella traduzione in italiano del testo redatto in inglese- la locuzione- “… o hanno scelto di non essere vaccinate”, nell’ambito della non equivoca prescrizione che sanciva che fosse “…necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, ……o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate”.
Una locuzione che ha dato una ben diversa valenza alla norma programmatica sulle vaccinazioni tendente ad evitare la discriminazione dei cittadini che scelgono di non essere vaccinati e che il Governo invece non ha tenuto in nessuna considerazione per modificare il decreto legge del 1° aprile 2021, n.44, con il quale erano state dettate norme per la vaccinazione obbligatoria dei sanitari, del personale scolastico e di quello delle FFPP, per giungere con il decreto legge 7 gennaio 2022, n. 1 a dettare norme per la vaccinazione obbligatoria dei cittadini di età superiore ai 50 anni, in spregio del citato Regolamento EU e soprattutto dell’Articolo 32 della Costituzione.
Sembrerebbe peraltro che questa particolarità unita a quella della titolazione errata della pandemia di COVID-19 siano state sfruttate dal Governo sinergicamente l’una in appoggio dell’altra e viceversa tanto da aver emanato un mese dopo la pubblicazione del citato Regolamento il decreto legge 23 luglio 2021,
n.105 con il quale veniva varata la proroga dello stato di emergenza per un rischio definito diversamente da quello scadente il 31 luglio 2021 e le norme sul green pass, che violano il paragrafo 36 del citato Regolamento UE volto appositamente ad evitare quella discriminazione che nel nostro Stato, invece, il Governo non solo ha attuato rimanendo sordo a qualsivoglia rimostranza, ma ha acuito fino ad oggi con previsioni sempre più stringenti della compressione dei diritti garantiti dalla Costituzione.
A CONFERMA DI TALE IPOTESI SI FA RILEVARE CHE DIVERSAMENTE
- il Governo, in conseguenza della prima delibera del consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, delle successive 4 delibere del 29 luglio 2020, 7 ottobre 2020, 13 gennaio 2021 e 21 aprile 202, nonché del decreto legge 23 luglio 2021, n.105, già indicati in premessa, avrebbe potuto prorogare lo stato di emergenza solo fino al 31 gennaio 2022, così completando l’arco temporale delle proroghe dello stato di emergenza di 12 mesi, prorogabile di soli ulteriori 12 mesi, ai sensi dell’ 24, comma 3 del Decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.1;
- il Governo con la disposizione di cui all’ 1, comma 1 del Decreto Legge 24 dicembre 2021, n. 221 avrebbe, dunque, prorogato arbitrariamente, lo stato di emergenza nazionale fino al 31 marzo 2022, con un atto sì avente valore di legge, ma che avrebbe dovuto essere adottato con una apposita ben conosciuta e prevista tecnica legislativa;
- il Governo, infatti, alla luce della proroga adottata con l’art. 1, comma 1, del Decreto Legge 24 dicembre 2021, 221, avrebbe dovuto avere cura:
- di proporre tale proroga con un apposito disegno legislativo modificativo dell’ 24, comma 3, del Lgs. 1/2018, secondo la seguente nota tecnica e terminologia legislativa: ““all’articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.1 le parole <<ulteriori 12 mesi>> sono sostituite dalle seguenti: <<ulteriori 14 mesi>>””;
- di presentare tale semplice disegno legislativo con un decreto legge che avrebbe dovuto essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale almeno entro la data del 30 novembre 2021, così che fosse consentita la sua approvazione come legge nei termini dei 60 giorni e, quindi, prima della scadenza naturale fissata per il 31 gennaio 2022 dello stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio 2020 e rinnovabile per 12 mesi più ulteriori 12 mesi ai sensi del noto e più volte richiamato 24, comma 3, del D. Lgs. 2 gennaio 2018, n.1;
4. il Governo, pertanto, non avendo operato come indicato al precedente punto 3, si sarebbe reso responsabile con il decreto legge 24 dicembre 2021, 221 di una gravissima violazione poiché avrebbe modificato autonomamente il numero complessivo dei mesi di proroga dello stato di emergenza fissati complessivamente in 24 mesi (12 mesi prorogabili per non più di ulteriori 12 mesi), che sarebbe dovuto terminare il 31 gennaio 2022, incrementandolo di due mesi e spostando così il suo termine al 31 marzo 2022, Inoltre senza che vi fosse una preventiva, ma necessaria, certezza che il decreto legge potesse essere approvato entro i 60 giorni previsti per legge, ovvero entro la data del 31 gennaio 2022, quale data limite della durata di 24 mesi dello stato di emergenza di rilievo nazionale, derivante dalle varie proroghe dello stato di emergenza nazionale iniziato il giorno 1° febbraio 2020 per effetto della dichiarazione dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020 ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c) e dell’articolo 24 comma 1, e prorogato ai sensi dell’art. 24, comma 3 del D. Lgs. 2 gennaio 2018, n.1
5. il Governo, dunque, non potrebbe non essere che perfettamente consapevole di essersi reso responsabile della citata violazione, anche in forza dell’inserimento nello stesso decreto legge 24 dicembre 2021, n.221 e, per di più, proprio nel successivo 2, titolato “Modifiche al decreto legge 25 marzo 2020, n.19 e al decreto legge 16 maggio 2020, n.33”, dell’inserimento delle seguenti due apposite modifiche:
-
- All’articolo 1, comma 1, del decreto legge 25 marzo 2020, n.19, convertito , con modificazioni dalla legge 22 maggio 2020, n.35, le parole << fino al 31 dicembre 2021 >>, da sostituire con le parole << fino al 31 marzo 2022>> ;
- All’articolo 3, comma 1, del decreto legge 16 maggio 2020, n.33, convertito , con modificazioni dalla legge 14 luglio 2020, 74, le parole << 31 dicembre 2021 >> da sostituire con le parole
<<31 marzo 2022 >>,
che sono state delineate con la ben nota e consolidata tecnica legislativa esplicitata al precedente punto 3, con l’esemplificazione pratica di quello che avrebbe dovuto effettuare il Governo per ottenere il prolungamento della proroga dello stato di emergenza a 14 mesi.
- la particolarissima scoperta, di cui ai punti precedenti, dimostra inconfutabilmente che il Governo, non avendo adottato per la formulazione dell’articolo 1 del decreto legge 24 dicembre 2021, n.221, titolato “Dichiarazione dello Stato di emergenza”, la tecnica legislativa richiamata al punto 3 lettera b) della presente denuncia, in cui ha ulteriormente prorogato lo stato di emergenza fino al 31 marzo 2022, come se tale proroga fosse perfettamente legittima in quanto rientrante nel disposto dell’ 24, comma 3 del Decreto Legislativo n. 1/2018 del “Codice della Protezione Civile” (riportato in Nota 1 e che, invece, sancisce: “La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi), avrebbe perseguito con una tecnica legislativa sfrontata il fine di modificare:
- o la durata dello stato di emergenza, senza una preventiva modifica già approvata per legge, come è dimostrato da quanto disposto nell’articolo 2 successivo del medesimo decreto legge 24 dicembre 2021, n.221, in cui per operare modifiche a due decreti legge, ha adottato, invece, la nota tecnica legislativa di rito;
- o di consolidare il nuovo stato di emergenza, anche se derivante dall’iniziale illegale “rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, ma indicato con la diversa formulazione, già adottata nel decreto legge 23 luglio 2021, 105, convertito con modificazioni dalla legge 16 settembre 2021, n.126, e che, per una migliore comprensione dell’azione surrettizia adottata legislativamente con il decreto legge n.105/2021, si richiama:
“In considerazione del rischio sanitario connesso al protrarsi della diffusione degli agenti virali da COVID-19, lo stato di emergenza dichiarato con deliberazione del 31 gennaio 2020 è ulteriormente prorogato fino al 31 marzo 2022”,
secondo cui non si può che ipotizzare che il nuovo stato di emergenza sia iniziato proprio dalla data di Pubblicazione sulla GU del 23 luglio 2021, n.175 del citato decreto 23 luglio 2021, 105, atteso che, diversamente, il Governo per procedere alla deliberazione di una ulteriore proroga dello stato di emergenza oltre il termine dei 24 mesi, scadente il 31 gennaio 2022, avrebbe dovuto, come già accennato, far approvare per tempo, una apposita modifica dell’art.24, comma 3 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.1.
Diversamente, non v’è chi non sarebbe autorizzato ad affermare che nel caso in cui non dovesse essere attuata la conversione in legge del citato decreto legge 24 dicembre 2021, n.221 prima del 31 gennaio 2022, tutte le norme del Decreto Legge 7 gennaio 2022, n.1 “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore” (GU n.4 del 7-1-2022), decadrebbero facendo rovinosamente naufragare i provvedimenti adottati con il decreto legge 7 gennaio 2022, n.1.
E poiché tutti questi decreti legge sono stati votati in Parlamento dove non è stata sollevata alcuna eccezione di costituzionalità e recano la firma del Presidente della Repubblica, quale garante della Costituzione, che ne ha garantito la costituzionalità, il 1° febbraio 2022, ovvero il giorno seguente al termine dello stato di emergenza dichiarato 24 mesi prima, il 31 gennaio 2020, ai sensi dell’art.24, comma 3 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.1, si potrebbe apprendere, con ben 7 mesi di ritardo, a mezzo di comunicati stampa del Governo e della Presidenza della Repubblica, che lo stato di emergenza attuale non è più quello deliberato il 31 gennaio 2020, ma quello entrato in vigore il 1° agosto 2021, con buona pace della stessa vigenza dello Stato di diritto.
- Ciò premesso, va perscrutata, inoltre, se la modificata dichiarazione del rischio a fondamento della dichiarazione di un nuovo stato di emergenza, a mezzo di atti aventi legittimazione legislativa, sia effettivamente corretta o si ponga ancora come un metodo ulteriormente surrettizio di aggiramento ed occultamento delle responsabilità del Ministero della salute sulla pandemia per la quale il nostro Stato si è trovato totalmente
A tal fine deve essere sottolineata preliminarmente la differenza esistente tra la malattia COVID-19 e il virus SARS Cov2, che, a distanza di due anni non è ancora ben chiara in Italia, tanto che spesso tali definizioni si confondono e sono intesi come sinonimi, mentre in realtà sono due cose molto, molto diverse.
La SARS Cov2 è l’agente eziologico, rappresenta il virus che ci infetta, ovvero è il nome dato al nuovo coronavirus del 2019, mentre COVID-19 è il nome dato alla malattia associata al virus, ovvero rappresenta la malattia che si determina in una persona o in un animale a seguito dell’infezione dal virus SARS Cov2. Sono evidentemente, quindi, cose molto diverse.
Per una comprensione di cosa si tratti, a scopo di mera esemplificazione, si desidera fare riferimento ad un altro noto virus, quello dell’HIV (Human Immunodeficiency Virus), o meglio di due specie di virus di Lentivirus (un genere di retrovirus) che causano un’infezione che, se non è trattata, provoca la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)13.
Dunque la AIDS è la malattia che genera il contatto con questo virus.
Quindi, quando si parla di prevenzione dall’infezione per quanto riguarda l’HIV, poiché si trasmette durante i rapporti sessuali, quando c’è contatto con il sangue, con lo sperma, con il liquido vaginale e pre-eiaculazione, si fa riferimento esclusivamente all’uso del contraccettivo, allo scopo della prevenzione della trasmissione del virus, mentre per curare l’AIDS ci sono specifici farmaci per una terapia mirata ad allungare la sopravvivenza del malato, e non esistono ancora vaccini allo scopo di prevenire ai vaccinati la contaminazione e a loro volta di trasmetterne il contagio.
In Italia dunque, poiché esiste una sicura confusione, forse anche voluta, tra la SARS Cov2 e la malattia COVID-19, senza che siano stati indicati chiaramente tutti i mezzi di prevenzione della SARS CoV2 diversi dal vaccino, quale mezzo per bloccare il contagio, non si può prescindere dal dover analizzare perché l’obbligo vaccinale sia stato imposto con il decreto legge 1° aprile 2021, n.44, prima per i sanitari e poi per il personale scolastico e per quello delle FFPP, sul falso ed errato presupposto che una persona debba sottoporsi alla vaccinazione per prevenire il contagio con altre presone.
Quindi, fondamentalmente, per prevenire il contagio con altre presone, il Governo ha chiesto a queste tre categorie di pubblici dipendenti di vaccinarsi affinché il vaccino somministrato permettesse ai sanitari di non infettare rispettivamente i pazienti e il personale sanitario, al personale scolastico di non infettare gli alunni e il personale operante nelle scuole, agli appartenenti alle Forze di Polizia che operano sul territorio di non rappresentare un veicolo di infezione per se stessi e per i cittadini oggetto degli interventi di pubblica sicurezza a tutela della comunità, mentre è stato accertato che i vaccinati si contagiano, ovvero possono ammalarsi e possono a loro volta contagiare.
Detto questo, si deve sottolineare, che in Italia l’obbligo vaccinale non è ottemperabile per legge, atteso che alcuno degli attuali vaccini possa essere indicato come capace di prevenire al vaccinato sia il contagio sia di impedire allo stesso di trasmettere il contagio del virus della SARS Cov2.
- (EN) Gallo RC, Luc Montagnier, The discovery of HIV as the cause of AIDS 2003, PMID 14668451 Url consultato il 14 giugno 2017
Quindi, poiché, di fatto, tutti i vaccini impiegati in Italia sarebbero utilizzati solo per prevenire la malattia COVID-19, non solo nelle forme più gravi, ma in tutte le forme possibili della malattia COVID-19, la persona che si è vaccinata e contrae la malattia COVID-19 a causa del mancato effetto del vaccino, deve essere segnalata alla farmaco vigilanza del ministero della salute in quanto un caso del genere va considerato come effetto grave, poiché a fronte di una malattia mortale, per la quale il vaccino avrebbe dovuto evitare che insorgesse la malattia, il vaccino si è mostrato invece totalmente, inefficace, disattendo alla propria funzione, sarebbe importante avere cognizione della scheda tecnica del farmaco. Mentre in tale ambito si assiste al silenzio assoluto del ministero della salute, del suo ministro e dei media, dai social si apprendono casi di affetti avversi di ogni genere fino alla morte del vaccinato avvenuta poco dopo la vaccinazione.
- A questa problematica, che condanna l’adozione della vaccinazione obbligatoria, e viola l’art. 32 della Costituzione, si soggiunge che tale violazione è confermata proprio dall’oggettività di un particolare elemento di valutazione: ovvero la “scheda tecnica” del vaccino COMIRNATY della Pfizer (il bugiardino), in cui alla pagina 66 dopo la voce “A. PRODUTTORI DEI PRICIPI ATTIVI BIOLOGICI E PRODUTTORI RESPONSABILI DEL RILASCIO DEI LOTTI” si osserva alla successiva voce:
“B. CONDIZIONI O LIMITAZIONI DI FORNITURA E UTILIZZO”, l’espressa indicazione di :
“Medicinale soggetto a prescrizione medica”
che stride in modo categorico con l’indiscriminato e generalizzato obbligo di vaccinazione, senza prescrizione medica, contrariamente alle stesse indicazioni terapeutiche riportate dalla casa produttrice e senza una precedente anamnesi scrupolosa dell’interessato, in modo da potere escludere il più possibile l’insorgenza di effetti avversi, soprattutto alla luce dell’emergere di eventi avversi gravi e gravissimi o fatali dovuti alla vaccinazione in atto, come si è potuto appurare grazie anche alla segnalazione della “Associazione Sindacale Carabinieri UNARMA” inviata al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con lettera datata 19 gennaio 2022, con la quale veniva segnalata -in seguito ad una specifica richiesta avanzata verosimilmente di un carabiniere- la risposta fornita dall’Infermeria Presidiaria della Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, con lettera n.6/4794-28 SAN, datata 30/12/2021, in cui veniva affermato:
“I vaccini autorizzati all’immissione in commercio per il trattamento dell’epidemia da Covid-19 sono medicinali a prescrizione medica limitativa (RRL), Pertanto, relativamente a quanto richiesto con lettera in riferimento, si comunica l’impossibilità da parte di questa infermeria a soddisfare l’esigenza.”.
Affermazione che getta una luce sinistra sulle omissioni del tutto consapevoli delle istituzioni sanitarie, comprese quelle militari che, essendo consapevoli della obbligatorietà della prescrizione medica, derivante dalle indicazioni del famoso bugiardino attinente ai vaccini, non si può non ritenere che avrebbero potuto e dovuto sopperire direttamente a mezzo delle infermerie presidiarie dei Comandi di Corpo alla emissione della citata prescrizione medica per il personale militare e, ove fosse stato troppo oneroso, i Vertici Militari, come pure quelli di paritetiche amministrazioni avrebbero dovuto richiedere ai propri dipendenti la produzione, ai fini della successiva vaccinazione introdotta per legge, della prescrizione medica dei rispettivi i medici di medicina generale, i quali certamente, grazie all’anamnesi posseduta sui pazienti, avrebbero potuto stabilire -anche con ulteriori richieste di esami, visite, ecc- eventuali controindicazioni alla vaccinazione.
Ciò non è avvenuto. Anzi, tali Vertici, comprensivi di quelli sanitari, e di tutte le altre Istituzioni, sono invece rimasti silenti e colpevolmente succubi della volontà e del potere del Governo, violando in tal modo il GIURAMENTO prestato alla Repubblica e alla Costituzione e inducendo, anche il personale medico a violare palesemente il GIURAMENTO di IPPOCRATE.
Tutto questo è avvenuto per gli effetti degli atti assunti da parte del Governo in funzione non equivoca della affermazione della vigenza di uno stato di emergenza inutile e vessatorio, equivocando dolosamente tra la prevenzione da effettuarsi per impedire o contrastare la diffusione del virus SARS CoV2 e la malattia COVID-19 che è la malattia che consegue dal contagio da SARS CoV2 e che può essere curata con appositi farmaci, possibilmente senza frapporre l’indugio della vigile attesa e della tachipirina che riduce il glutatione e quindi gli anticorpi.
Poiché la COVID-19 può essere perfettamente curata con farmaci antivirali, antibiotici ed altro sulla base della visita del medico di base, risulta evidente che il castello degli ultimi decreti legge 23 luglio 2021, n.105 e 24 dicembre 2021, n.221, il primo titolato “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19” e il secondo “ Proroga dello Stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19” crolli per l’effetto stesso derivante dalla indicazione dogmatica, ma errata, della pandemia con il nome della COVID-19 (ovvero della MALATTIA che determina lo stato infiammatorio), quando l’epidemia (ovvero il CONTAGIO) deriva dal virus SARS CoV2, e tutto al fine di poter giustificare la proroga dello stato di emergenza con l’evidente surrettizio inganno, quello di definirlo derivante da un diverso agente virale (inesistente).
E ciò, a tutto vantaggio della ulteriore produzione della decretazione d’urgenza a supporto di tutti gli atti inutili già assunti dal Governo e di quelli futuri, le cui procedure continuerebbero a suffragare lo stravolgimento dell’Ordinamento della Repubblica delineato dalla Costituzione, il superamento del principio di separazione dei poteri dello Stato, con l’accentramento nella sfera del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Governo tutto di un potere legislativo rafforzato, tale da sovvertire la gerarchia delle fonti di produzione del diritto sino a riscrivere le basi del nostro ordinamento, recidendo radicalmente diritti fondamentali e libertà personali, e giungendo con il decreto legge 7 gennaio 2022, n 1 ad impedire alle persone non munite della Certificazione Verde COVID-19 l’accesso a servizi essenziali, ai pubblici uffici, ai servizi postali, bancari e finanziari, alle attività commerciali, ai colloqui in presenza con detenuti e internati, agli uffici giudiziari, in cui è richiesta la Certificazione Verde anche ai difensori per l’accesso ai locali in cui si realizza l’esercizio delle attività difensive ai sensi dell’art 24 della Costituzione.
FATTO RILEVARE , INOLTRE
che, l’OMS nella persona del suo direttore generale, dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato l’emergenza sanitaria da SARS Cov2 solo verbalmente;
che, il conseguente stato di emergenza nazionale per SARS CoV2 deliberato dal Governo “Conte 2” è illegale per difetto di previsione della fattispecie “pandemica” nella legge “Codice della Protezione Civile” e che, quindi, tutte le misure adottate per limitare la diffusione della SARS CoV2 , sono illegittime ab origine, determinando, “a cascata” l’illegittimità di tutta la disciplina conseguente in tema di contrasto della pandemia, di cui si è assunta la responsabilità anche il governo “Draghi”;
che, tantomeno, appaiono giustificati (e legittimi sul piano normativo) gli innumerevoli strappi a danno di diritti presidiati dalla Carta Costituzionale, in particolare quello derivante dall’art. 32;
che, la soluzione adottata con il piano vaccinale dai precedenti decreti legge n.44/2021 e n.52/2021 (i quali dispongono la necessità di sottoporsi a vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da virus SARS-Cov-2 e l’esibizione della certificazione verde COVID-19 (ovvero di dimostrazione di non essere affetti dalla malattia), al fine di godere dei diritti garantiti dalla Costituzione), è stata ora aggravata con le previsioni del decreto de qua, tanto da non poter essere ulteriormente tollerata poiché in pieno dispregio della Costituzione;
che, risultando pienamente confermato, che nessuno dei farmaci-sieri sperimentali anti-SARS CoV2 possiede la caratteristica di prevenirne il contagio e la diffusione14, atteso che dalla documentazione pubblicata sul sito internet della European Medicines Agency (cd. EMA), emerge quanto segue:
- non sono stati effettuati studi sulle possibili interazioni con altri farmaci;
- sono ignoti gli effetti avversi a breve, medio e lungo termine;
- non sono stati effettuati studi di farmacodinamica e non è noto se il farmaco possa essere trasmesso per via cutanea o respiratoria, né se venga escreto attraverso il latte materno. I documenti ufficiali non danno alcuna informazione sulle modalità̀ di escrezione del medicinale, in particolare per quanto attiene a liquidi corporei quali quello seminale o la saliva, né per quanto attiene a feci o campioni ematici;
- “la somministrazione di Comirnaty durante la gravidanza deve essere presa in considerazione solo se i potenziali benefici sono superiori ai potenziali rischi per madre e per feto”, giacché gli studi sono stati effettuati solo sugli animali (ratti). Ugualmente, gli studi diretti o indiretti sulla tossicità̀ riproduttiva sono stati condotti solo sugli animali;
- sono ignote la carcinogenicità e la tossicità̀ dei farmaci in questione;
- i risultati di fine sperimentazione sono attesi per il 2023 (con riferimento, ad esempio, al medicinale Comirnaty, si riporta che “Per confermare l’efficacia e la sicurezza di «Comirnaty», il titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio deve fornire la relazione finale sullo studio clinico relativa allo studio C4591001 randomizzato, controllato verso placebo, in cieco per l’osservatore”);
che nella “Bozza di protocollo OMS per risposta e contenimento rapidi della pandemia influenzale” aggiornato al 30 maggio 2006 OMS, indica in un particolare paragrafo le misure programmatiche del:
“Trattamento antivirale e profilassi mirata”
“Nella zona di contenimento, i farmaci antivirali dovrebbero essere somministrati a casi di patologie respiratorie da moderati a gravi per ridurre la morbilità e mortalità e ai loro contatti per ridurre la diffusione in corso. L’accesso prioritario ai farmaci antivirali e ad altri interventi medici dovrebbe fungere da incentivo per aumentare la disponibilità dei pazienti e dei loro contatti a rispettare le misure di salute pubblica consigliate in quelle che sono ritenute condizioni stressanti e impegnative.
Le autorità nazionali e locali, col sostegno dell’OMS, provvederanno a definire congiuntamente (entro la zona del focolaio) le famiglie, scuole, luoghi di lavoro, strutture sanitarie o altri ambienti dove la distribuzione di farmaci antivirali, attrezzatura protettiva personale e altre forniture mediche possa essere necessaria.
Nel caso in cui dovesse emergere evidenza di diffusione oltre la zona di contenimento iniziale, sarà necessario ridefinire le zone di contenimento designate per la profilassi antivirale. Questa decisione sarà presa di concerto con le autorità locali e nazionali e l’OMS.”
Inoltre, tenuto presente che alla data del 04.12.2021 EudraVigilance riporta all’indirizzo www.adrreports.eu l’elevato numero di eventi avversi:
- 607.283 per Pfizer-Biontech (Tozinameran) Comirnaty;
- 416.188 per Astrazeneca;
- 165.883 per CX-024414 Moderna;
- 39.426 per AD26.COV2.S Janssen,
e, dunque, tali farmaci per la prevenzione della malattia COVID-19, non ottemperano né ai requisiti previsti dal decreto legge n. 44/20 (artt. dal 3 al 4 ter) relativi all’obbligo vaccinale, né a quelli previsti dal decreto legge n. 52/21 (art. 9, comma 1) relativi al rilascio del c.d. “green pass”, in quanto entrambi, prevedono l’inoculo del vaccino anti-SARS (non anti-COVID).
Rammentato, altresì, che:
- gli artt. 48 (Sperimentazione umana) e 49 (Sperimentazione clinica) del Codice di Deontologia Medica vietano la somministrazione di farmaci sperimentali a pazienti dissenzienti;
- la prescrizione di un farmaco è finalizzata ad assicurare un vantaggio al paziente;
- la prescrizione limitativa obbligatoria, come da Determina 154/202015 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), pubblicata nella U. n. 318 del 23.12.2020 deve garantire che -dopo l’inoculazione di uno dei farmaci sperimentali acquistati per la vaccinazione (i cui trial termineranno negli anni 2023 e 2024)- non si possa risultare infetti o infettanti per la propria ed altrui incolumità o essere pericolosi per terze persone a causa del noto fenomeno dello “shedding vaccinale”;
- l’elenco delle fonti sulle cui basi si fondano le riportate osservazioni, in aggiunta a quelle già indicate nelle note, sono:
- decreto legge n. 44/21, art. 4, comma 1: (…) al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (…) sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2;
- decreto legge 52/21, art. 9, comma 1, lettera a): certificazioni verdi COVID-19: le certificazioni comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 (…);
- Determine AIFA: 112/2020, n. 154/2020, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 318 del 23.12.2020, n. 1/2021, 18/2021, n. 49/2021, n. 178/2021, n. DG/699/2021, n. 1067/2021, 1223/2021 del 11 ottobre 2021 (dose addizionale dei medicinali «Comirnaty» e «Spikevax»);
- La Determina n. 154/2020 (presa come esempio, in quanto le determine di tutti e quattro i prodotti contengono le stesse informazioni al riguardo) riporta in calce le “Condizioni o limitazioni di fornitura e utilizzo” e specifica espressamente: “Regime di fornitura: medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa (RRL) da utilizzare esclusivamente presso le strutture identificate sulla base dei piani vaccinali o di specifiche strategie messe a punto dalle regioni.”
- Documento EMA (Caratteristiche Comirnaty);
- Documento EMA (Assessment report per Comirnaty);
- PF-07302048 (BNT162 RNA-Based COVID-19 Vaccines) – Protocol C4591001;
- Documento EMA del 21/09/2021 (Risk Management Plan);
- Documento EMA EMA/333964/2020 (Pharmacovigilance Plan of the EU Regulatory Network for COVID-19 Vaccines);
- Documento OMS WHO/BS/2021.2402 (Evaluation of the quality, safety and efficacy of messenger RNA vaccines for 9 the prevention of infectious diseases: regulatory considerations);
- EudraVigilance (www.adrreports.eu): eventi avversi per Pfizer-Biontech (Tozinameran) Comirnaty, Astrazeneca/Vaxzevria, Moderna/Spikevax e Janssen;
- it: anche la banca dati farmaceutica CODIFA conferma che tutti i prodotti “anti-COVID” sono ricompresi nella sotto-categoria di farmaci RRL, ovvero “medicinali vendibili al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti”, Secondo l’art. 93 del D.Lgs n.219/2006.
RICHIAMATO
- La SENTENZA n. 307 della Corte Costituzionale, secondo cui non è ammesso il sacrificio della salute individuale a vantaggio della collettività, tanto che si trascrive la parte dispositiva per dimostrare che l’imposizione legislativa dell’obbligo del trattamento sanitario obbligatorio, come reiteratamente adottato con la decretazione d’urgenza, va dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non prevede una indennità risarcitoria, tanto più nel caso in cui dalla vaccinazione a mezzo di farmaci ancora in fase sperimentale, come quelli oggetto della vaccinazione anti SARS Cov2, il trial indicato dalla case farmaceutiche produttrici terminerà solo negli anni 2023 e 2024, di cui non si conoscono gli effetti e gli eventuali danni da genotossicità indicata da più
“La vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l’ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l’art. 32 della Costituzione.
Tale precetto nel primo comma definisce la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Da ciò si desume che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.
Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.
Con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute – e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario – implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito.
E parimenti deve ritenersi per il danno – da malattia trasmessa per contagio dalla persona sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio o comunque a questo ricollegabile – riportato dalle persone che abbiano prestato assistenza personale diretta alla prima in ragione della sua non autosufficienza fisica (persone anche esse coinvolte nel trattamento obbligatorio che, sotto il profilo obbiettivo, va considerato unitariamente in tutte le sue fasi e in tutte le sue conseguenze immediate).
Se così è, la imposizione legislativa dell’obbligo del trattamento sanitario in discorso va dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non prevede un’indennità come quella suindicata.
- – La dichiarazione di illegittimità, ovviamente, non concerne l’ipotesi che il danno ulteriore sia imputabile a comportamenti colposi attinenti alle concrete misure di attuazione della norma suindicata o addirittura alla materiale esecuzione del trattamento stesso. La norma di legge che prevede il trattamento non va incontro, cioè, a pronuncia di illegittimità costituzionale per la mancata previsione della tutela risarcitoria in riferimento al danno ulteriore che risulti iniuria datum. Soccorre in tal caso nel sistema la disciplina generale in tema di responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte è infatti fermissima nel ritenere che ogni menomazione della salute, definita espressamente come (contenuto di un) diritto fondamentale dell’uomo, implichi la tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. Ed ha chiarito come tale tutela prescinda dalla ricorrenza di un danno patrimoniale quando, come nel caso, la lesione incida sul contenuto di un diritto fondamentale (sentt. nn. 88 del 1979 e 184 del 1986).
È appena il caso di notare, poi, che il suindicato rimedio risarcitorio trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione o (trattandosi di trattamenti rivolti a combattere la diffusione pandemica o epidemica del patogeno) di contagio, nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili.
Ma la responsabilità civile opera sul piano della tutela della salute di ciascuno contro l’illecito (da parte di chicchessia) sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dal detto art. 2043 c.c.
Con la presente dichiarazione di illegittimità costituzionale, invece, si introduce un rimedio destinato a operare relativamente al danno riconducibile sotto l’aspetto oggettivo al trattamento sanitario obbligatorio e nei limiti di una liquidazione equitativa che pur tenga conto di tutte le componenti del danno stesso. Rimedio giustificato -ripetesi- dal corretto bilanciamento dei valori chiamati in causa dall’art. 32 della Costituzione in relazione alle stesse ragioni di solidarietà nei rapporti fra ciascuno e la collettività, che legittimano l’imposizione del trattamento sanitario.”;
- NORIMBERGA 1945
“La somministrazione di farmaci (i vaccini lo sono) contro la volontà del soggetto è un crimine contro l’umanità”;
- OVIEDO 2000
“un trattamento sanitario (come il vaccino) può essere praticato solo se l’interessato ha dato il suo consenso libero ed informato”;
- Il Regolamento (UE) 2012/953del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021, che a 7, del considerando paragrafo 36, prima frase, è stato sancito:
“E’ necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto …”,
- i 5 Pareri del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB)
- Parere sull’obbligatorietà del vaccino anti-Covid (https://wwecsel.org/wp-content/uploads/2021/12/I-Parere-CIEB.pdf), Roma -Parigi, 20 dicembre 2021;
- Parere sull’eticità della partecipazione del personale medico e sperimentatore alla somministrazione del vaccino anti-Covid (https://ecsel.org/wp-content/uploads/2021/12/Parere-CIEB-sulpersonale-medico-sperimentatore.pdfecsel.org), – Roma -Parigi, 27 dicembre 2021;
- Parere sulla somministrazione di terapie geniche a fini di sperimentazione scientifica nel quadro della cosiddetta campagna vaccinale anti-Covid (https://ecsel.org/wp-content/uploads/2022/01/111-Parere-CIEB.pdfecsel.org) – Roma -Parigi, 5 gennaio 2022;
- Parere sull’eticità e la trasparenza della comunicazione scientifico-sanitaria e sui doveri del giornalista nel quadro dell’emergenza Covid (https://ecsel.org/wp-content/uploads/2022/01/IV-Parere-del-CIEB-1.pdf)9, Roma -Parigi, 10 gennaio 2022;
- Parere sulla correlazione tra la disciplina della “vigile attesa e tachipirina” e la procedura d’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid (https://ecsel.org/wp-content/uploads/2022/01/V-Parere-CIEB-2.pdf), nonché sulla violazione delprincipio del consenso libero e informato nell’ambito della campagna vaccinale Roma – Parigi, 20 gennaio 2022;
da cui si colgono complessivi inoppugnabili rilievi, tanto che non si può non ritenere di riportare qui di seguito per esteso l’ultimo significativo parere redatto il giorno 20 gennaio 2022, che evidenzia le indiscutibili
–Parere sulla correlazione tra la disciplina della “vigile attesa e tachipirina” e la procedura d’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid, nonché sulla violazione del principio del consenso libero e informato nell’ambito della campagna vaccinale Roma -Parigi, 20 gennaio 2022-
Con il presente Parere il CIEB intende richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla correlazione tra la disciplina della «Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2» posta dalle circolari del Ministero della Salute del 30 novembre 2020 e del 26 aprile 2021 (cosiddetta strategia della “vigile attesa e tachipirina”) e le condizioni stabilite dalla normativa europea per l’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid. Il Parere, inoltre, intende sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violazione del principio del consenso libero e informato conseguente all’avvio della campagna vaccinale e all’introduzione dell’obbligo vaccinale a carico dei cittadini e degli stranieri residenti in Italia. Ciò al fine di mettere in guardia l’opinione pubblica rispetto alla deriva antidemocratica che sta emergendo dalla gestione politica del Covid.
A tali scopi, il CIEB ritiene anzitutto necessario ricordare che le circolari ministeriali sopra citate raccomandano la gestione farmacologica dei pazienti affetti da Covid unicamente mediante trattamenti sintomatici a base di paracetamolo o di farmaci antinfiammatori non steroidei, scoraggiando i medici di base dall’utilizzo delle terapie da essi ritenute più idonee caso per caso e in concreto, secondo scienza e coscienza.
Le motivazioni che hanno indotto il Ministero della Salute a privilegiare la strategia della “vigile attesa e tachipirina”, nonché i contenuti sostanziali delle relative circolari, hanno già formato oggetto di controversie sul piano scientifico e su quello giuridico (la sentenza del TAR del Lazio n. 419 del 7 dicembre 2021, pubblicata il 15 gennaio 2022, che ha annullato la disciplina posta dalla circolare ministeriale aggiornata al 26 aprile 2021. È tuttavia significativo rilevare che l’esecutività di detta sentenza è stata sospesa – a sole 96 ore dalla sua pubblicazione – dal decreto adottato dal Presidente del Consiglio di Stato il 19 gennaio 2022). Ciò che qui si vuole ricostruire è invece la relazione funzionale tra la disciplina ministeriale e l’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid.
Questi ultimi, infatti, sono autorizzati in via «condizionata» e temporanea sulla base della procedura disciplinata dal regolamento della Commissione europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006. L’autorizzazione in questione, che ha durata annuale, si applica ai «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia» (art. 3, n. 1) e può essere concessa a condizione, tra l’altro, che detti «medicinali» rispondano a «esigenze mediche insoddisfatte» (art. 3, n. 1, lett. c): e cioè esigenze rispetto alle quali non esistano soluzioni terapeutiche.
È quindi agevole cogliere la correlazione tra la disciplina della “vigile attesa e tachipirina” e la procedura d’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid: se le circolari ministeriali sopra citate non avessero ostacolato – fino a precludere – l’individuazione di terapie specifiche, lasciando così insoddisfatta l’esigenza medica di contrastare il Covid, la campagna vaccinale non avrebbe potuto essere avviata. Tale correlazione sembra essere confermata anche dalla successione temporale degli eventi: l’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio del primo “vaccino” anti- Covid (dicembre 2020) ha seguito di poche settimane l’adozione della prima delle due circolari ministeriali (novembre 2020).
Altrettanto agevole è rilevare che la campagna vaccinale – mediante una strategia probabilmente preordinata – ha condotto dapprima al dirottamento mediatico dell’opinione pubblica verso un clima di attesa e di esaltazione dei cosiddetti vaccini anti-Covid, e in seguito all’introduzione e alla progressiva estensione dell’obbligo vaccinale: un obbligo surrettizio a carico dell’intera popolazione, in quanto requisito d’accesso al cosiddetto Green Pass e, per tramite di quest’ultimo, alla fruizione di beni e servizi e allo svolgimento di attività lavorative; e un obbligo esplicito a carico di determinate categorie
professionali, nonché, da ultimo, di soggetti individuati su base puramente anagrafica, al di là e al di fuori di qualsivoglia logica medica e scientifica.
In entrambi i casi, la campagna vaccinale sta comportando la violazione sistematica del principio del consenso libero e informato: per i cittadini e gli stranieri residenti in Italia che si sono sottoposti alla cosiddetta vaccinazione più o meno volontariamente – tenuto conto dello strumento di coercizione costituito dal Green Pass – perché l’incertezza scientifica che circonda la sicurezza e l’efficacia dei cosiddetti vaccini anti-Covid vanifica la condizione preliminare del consenso, e cioè la possibilità per il medico/sperimentatore di conoscere e di valutare – in scienza e coscienza – i rischi dei “vaccini” medesimi e di esporli al paziente, affinché quest’ultimo possa esprimere, o meno, un consenso realmente informato; per i cittadini e gli stranieri residenti in Italia che sono stati obbligati a vaccinarsi, perché l’imposizione dell’obbligo fa venire meno qualsiasi possibilità di rendere un consenso realmente libero.
Sulla base di queste considerazioni, il CIEB richiama l’attenzione dell’opinione pubblica sui seguenti punti:
- la disciplina della “vigile attesa e tachipirina” può̀ avere contribuito alla propagazione del virus Sars-Cov-2 e del Covid, mantenendo soggetti infetti a contatto con soggetti sani in ambienti domestici, e quindi inadeguati;
- la disciplina in parola può̀ avere altresì̀ contribuito a causare la morte di soggetti che avevano contratto il virus Sars- Cov-2 e che avrebbero potuto essere salvati se sottoposti per tempo a terapie precoci e mirate contro il Covid;
- detta disciplina ha precluso – di fatto – ai medici di base la possibilità̀ di individuare approcci terapeutici volti a contrastare efficacemente la diffusione del Covid, soddisfacendo così la condizione essenziale per autorizzare l’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid in conformità̀ a quanto stabilito dal regolamento della Commissione europea 507/2006;
- ai sensi di questo regolamento, i “vaccini” in questione sono «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia»: ciò che dimostra ipso iure, al di là di qualsivoglia controversia scientifica, la loro natura sperimentale;
- nella misura in cui l’assunzione di detti «medicinali» sperimentali comporti un rischio per i soggetti riceventi, la campagna vaccinale si configura come una sperimentazione di massa condotta su soggetti inconsapevoli in spregio dei principi fondamentali di bioetica e di biodiritto posti a tutela dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della medicina, quali i principi di precauzione, di beneficenza e di non maleficenza;
- in particolare la campagna vaccinale ha sistematicamente condotto alla violazione del principio del consenso libero e informato, codificato all’indomani del processo di Norimberga e da allora mai posto in discussione;
- la campagna vaccinale ha di fatto privilegiato l’immissione in commercio dei soli “vaccini” fondati sulla tecnica dell’mRNA, dagli effetti farmacologici e genetici non noti, privando il pubblico della possibilità̀ di scelta tra questi e i vaccini tradizionali e proteici, rispetto ai quali si dispone di evidenze scientifiche più̀ consolidate;
- tra gli effetti non inattesi della campagna vaccinale si colloca anche l’incitamento alla discriminazione e all’odio nei confronti dei soggetti che hanno scelto di non vaccinarsi, o non possono farlo, di cui si prospetta concretamente addirittura l’esclusione dalle cure mediche in spregio a un altro principio generale di bioetica e di biodiritto, il principio di equo accesso alle cure sanitarie;
- per quanto riguarda le conseguenze di lungo periodo della campagna vaccinale, stanno emergendo evidenze scientifiche in grado di prospettare reazioni avverse al cosiddetto vaccino anti-Covid ben più gravi di quanto finora previsto e comunicato al pubblico dal Governo e dai media, con particolare riferimento alle fasce d’età più giovani, come si evince ad esempio dall’Atto di sindacato ispettivo del Senato della Repubblica italiana del 16 giugno 2021 1-00388;
- infine è sotto gli occhi dell’intera opinione pubblica che uno degli obiettivi principali della gestione politica dell’emergenza Covid e della stessa campagna vaccinale è costituito dall’introduzione, per scopi evidentemente diversi da quelli sanitari, di strumenti di controllo fondati sulla digitalizzazione della vita dei cittadini e degli stranieri residenti in Italia, che con ogni probabilità̀ saranno mantenuti anche dopo la cessazione dello stato di emergenza: ed è in questo senso che deve essere colta la relazione funzionale tra obbligo vaccinale e accesso al Green
Tutto ciò premesso, il CIEB:
- ribadisce l’invito rivolto al Governo italiano a recedere dalla politica volta ad imporre l’obbligo vaccinale e di Green Pass ai cittadini e agli stranieri residenti in Italia;
- invita gli altri Stati, nonché le Organizzazioni internazionali, a valutare l’opportunità di adottare misure di moral suasion nei confronti del Governo italiano affinché ponga fine alla sperimentazione di massa, su cittadini e stranieri residenti, di un medicinale sperimentale impropriamente denominato “vaccino”;
- qualora dette misure di moral suasion dovessero rivelarsi inefficaci, invita gli Stati e le Organizzazioni internazionali a prendere in considerazione quegli interventi umanitari che dovessero rivelarsi necessari per salvaguardare la sicurezza e i diritti fondamentali dei propri cittadini residenti in Italia, oltreché dei cittadini italiani;
- evidenzia la tendenza ad accentrare, sulla scorta dello stato di emergenza, metodi e processi decisionali in capo a organi monocratici, e non collegiali, come conferma ad esempio la recente decisione del Presidente del Consiglio di Stato di sospendere l’esecutività̀ della sentenza del TAR del Lazio che annulla la disciplina della “vigile attesa e tachipirina”;
- sollecita l’attenzione dell’opinione pubblica interna e internazionale sulla condotta del Governo italiano anche in vista delle scelte politiche che nelle prossime settimane potrebbero aprire la strada a modifiche rilevanti dell’assetto istituzionale del Paese e al rischio di incidere ulteriormente sui diritti e le libertà fondamentali di cittadini e stranieri residenti, riconosciuti dai Trattati internazionali di cui anche l’Italia è parte contraente.
Roma-Parigi, 20 gennaio 2022
Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito http://www.ecsel.org/cieb
RILEVATO
che l’AIFA ha appena precisato che il sistema di valutazione delle sperimentazioni cliniche in Europa affronterà un cambiamento radicale a partire dal 31 gennaio 2022, con la piena applicazione del “REGOLAMENTO (UE) N. 536/2014, DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE”, ai sensi del “REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2022/20 DELLA COMMISSIONE del 7 gennaio 2022, recante modalità di applicazione del regolamento (UE)
- 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la definizione delle norme e delle procedure per la cooperazione degli Stati membri nella valutazione della sicurezza delle sperimentazioni cliniche”, ove:
all’articolo 15 “Entrata in vigore” è stato sancito:
“Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Esso si applica a decorrere dal 31 gennaio 2022.
Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”.
E, dunque, richiamata la appena citata novità sanitaria europea dell’entrata in vigore del rivoluzionario documento “sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano”, al fine di sottolineare che la sperimentazione vaccinale attuata in Italia cozza apertamente con le nuove disposizioni, non si può non richiamare quanto è disposto nell’articolo 28 del Regolamento n. 536/2014, che qui di seguito si riporta integralmente:
Articolo 28 Disposizioni generali
- La conduzione di una sperimentazione clinica è consentita esclusivamente se tutte le seguenti condizioni sono soddisfatte:
- i benefici previsti, per i soggetti o la salute pubblica, giustificano i rischi e gli inconvenienti prevedibili e la conformità a questa condizione è costantemente verificata;
- i soggetti o, qualora un soggetto non sia in grado di fornire il proprio consenso informato, il suo rappresentante legalmente designato è stato informato conformemente all’articolo 29, paragrafi da 2 a 6;
- i soggetti o, qualora un soggetto non sia in grado di fornire il proprio consenso informato, il suo rappresentante legalmente designato ha fornito il proprio consenso informato conformemente all’articolo 29, paragrafi 1, 7 e 8;
- sono rispettati il diritto all’integrità fisica e mentale dei soggetti, il diritto alla vita privata e alla protezione dei dati che li riguardano in conformità della direttiva 95/46/CE;
- la sperimentazione clinica è stata disegnata in modo da causare nella minor misura possibile dolore, disagio, paura e altri rischi prevedibili per il soggetto e sia la soglia del rischio che il grado di malessere sono definiti espressamente nel protocollo e sono oggetto di continua verifica;
- l’assistenza medica fornita al soggetto è di competenza di un medico adeguatamente qualificato o, se del caso, di un odontoiatra qualificato;
- al soggetto o, qualora il soggetto non sia in grado di fornire il proprio consenso informato, al suo rappresentante legalmente designato sono stati forniti i recapiti di un organismo presso il quale è possibile ottenere ulteriori informa zioni, se necessario;
- i soggetti non hanno subito alcun indebito condizionamento, anche di natura finanziaria, per partecipare alla sperimentazione
- Fatta salva la direttiva 95/46/CE, il promotore può chiedere al soggetto o, qualora il soggetto non sia in grado di fornire il proprio consenso informato, il suo rappresentante legalmente designato, nel momento in cui il soggetto o il suo rappresentante legalmente designato fornisce il proprio consenso informato alla partecipazione alla sperimentazione clinica, di acconsentire all’uso dei suoi dati al di fuori di quanto previsto nel protocollo della sperimentazione clinica esclusivamente per fini Il soggetto o il suo rappresentante legalmente designato può revocare tale consenso in qualunque momento.
La ricerca scientifica che utilizzi i dati al di fuori di quanto previsto nel protocollo della sperimentazione clinica è condotta in conformità del diritto applicabile in materia di protezione dei dati.
- Qualsiasi soggetto o, qualora il soggetto non sia in grado di fornire il proprio consenso informato, il suo rappresentante legalmente designato, può ritirarsi dalla sperimentazione clinica in qualsiasi momento, senza alcun conseguente detrimento e senza dover fornire alcuna giustificazione, revocando il proprio consenso informato. Fatta salva la direttiva 95/46/CE, la revoca del consenso informato non pregiudica le attività già svolte e l’utilizzo dei dati ottenuti sulla base del consenso informato prima della sua revoca,
valutato in combinato disposto degli artt. 29 “Consenso informato” e dei successivi dal 30 al 35, quest’ultimo titolato “Sperimentazioni cliniche in situazioni di emergenza”, per evidenziare che, alla luce di quanto è stato complessivamente esposto, esistono oltre tutti i pregressi ed indicati vizi di legittimità, ulteriori evidenti ed oggettivi elementi di dubbia legittimità del Decreto Legge 7 gennaio 2022, n.1 per quanto ha tratto al suo contenuto precettivo e programmatico, per inapplicabilità -a decorrere dal 1° febbraio 2022- delle sue disposizioni, come in tutti i precedenti atti legislativi con i quali è stata condizionata la libertà decisionale dell’individuo ai fini della vaccinazione con farmaci sperimentali, poiché nel caso in cui se non dovesse essere stato ancora convertito in legge, entro il 31 gennaio 2022, verrebbe anche meno il principio sancito dall’art. 32 della Costituzione in base al quale gli obblighi in tema di salute possono essere disciplinati solo e soltanto da leggi già approvate dal Parlamento in via definitiva, laddove per “legge” non può non essere considerato un provvedimento legislativo adottato dal Parlamento al termine di un dibattito svoltosi in entrambi i due rami del Parlamento che, per quanto riguarda i Decreti sul Green Pass e sul Super Green Pass, e non solo di essi, è stato compresso dal voto di fiducia;
- che i vaccini attualmente somministrati sono farmaci ancora in fase di sperimentazione, dato che l’autorizzazione alla loro immissione in commercio è avvenuta per via “condizionata” e temporanea, sulla base del Regolamento della Commissione Europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006, che si applica espressamente ai “medicinali” per i quali “non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia”22, e che le evidenze scientifiche circa l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di dosi booster a distanza ravvicinata sono scarse, rimane assorbita -nello specifico, relativamente all’estensione dell’obbligo vaccinale previsto nelle misure dettate nel Decreto Legge 1/2022 e visti gli elementi di dubbia legittimità del Decreto Legge 1/2022 in trattazione, quali quelli posti in evidenza nella lettera aperta del 26 gennaio 2022 inviata da 140 docenti universitari della regione Toscana ai Rettori e Direttori delle Università Toscane sull’Obbligo Vaccinale per i Lavoratori delle Università sulle problematiche legate all’applicazione del Decreto Legge del 7 gennaio 2022, 1, che qui di seguito si riportano significativamente:
- il Decreto in oggetto non è stato ancora convertito in legge, mentre in base all’art. 32 della Costituzione gli obblighi in tema di salute possono essere disciplinati solo e soltanto da leggi approvate dal Parlamento in via definitiva («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non (cfr. Paragrafo 2.5.4 in https://wwema.europa.eu/en/documents/assessment-report/comirnaty-epar- public-assessmentreport_en.pdf) per disposizione di legge»), laddove per «legge» non può che intendersi un provvedimento legislativo adottato dal Parlamento al termine di un dibattito democratico aperto e trasparente che, per quanto riguarda i Decreti sul Green Pass e sul Super Green Pass, in Italia a tutt’oggi è evidentemente mancato;
- Anche laddove una siffatta legge dovesse essere adottata dal Parlamento, essa non potrebbe in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana come stabilisce lo stesso 32 della Costituzione («La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»). L’applicazione del decreto, a nostro parere, prefigura una violazione di tali limiti anche in quanto subordina a un trattamento sanitario il godimento dei diritti fondamentali al lavoro, alla sussistenza e alla socialità;
- In materia di tutela della salute, inoltre, l’art. 32 della Costituzione antepone esplicitamente il diritto individuale all’interesse collettivo («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»). L’impostazione sistematica della Carta costituzionale, confermata da costante giurisprudenza della Consulta, fa sì che la salute del singolo non possa mai essere sacrificata o messa a rischio nell’ottica di salvaguardare la salute collettiva. Considerato che l’assunzione dei suddetti farmaci è da ritenersi un atto irreversibile, che esistono numerose segnalazioni di effetti avversi post- vaccinazione anche gravi e che la sperimentazione in materia si concluderà solo a fine 2023, non ci sono elementi per ritenere che il diritto individuale alla salute sia tutelato. Al contempo, non garantendo il vaccino l’immunità, ci sono anche dubbi su quanto l’attuale politica vaccinale tuteli la salute collettiva;
- I contenuti del Decreto si pongono in contrasto anche con gli orientamenti espressi dalle due principali organizzazioni internazionali operanti sul piano regionale europeo, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, che hanno ritenuto necessario ribadire la libertà di scelta vaccinale allo scopo di scongiurare l’introduzione di illecite discriminazioni tra persone vaccinate e non vaccinate. Per prima è intervenuta l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, mediante la risoluzione 2361/2021 del 27 gennaio 2021, secondo cui «nessuno subisca pressioni politiche, sociali o di altro tipo affinché si vaccini, se non desidera farlo personalmente». In seguito, è intervenuta anche l’Unione Europea, mediante il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 953/2021 del 14 giugno 2021, il cui considerando 36 afferma chiaramente che «è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate», anche nel caso specifico di coloro che «hanno scelto di non essere vaccinate»;
- Le azioni che il Governo italiano pone in essere, adottando provvedimenti che di fatto spingono direttamente o surrettiziamente larghe porzioni di cittadini all’assunzione di farmaci ancora sotto sperimentazione, quali sono da considerare i vaccini anti Covid-19, si pongono in contrasto con alcuni principi generali di diritto internazionale ed europeo, nonché con principi fondamentali della bioetica (CIEB, Parere sull’obbligatorietà del vaccino anti-Covid, 20 dicembre 2021 https://www.ecsel.org/wp-content/uploads/2021/12/I-Parere-CIEB.pdf), quali: il principio di precauzione, come formulato dalla Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 e recepito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; il principio del consenso informato, sancito da strumenti sia di natura deontologica (il Codice di Norimberga del 1947 e la Dichiarazione di Helsinki del 1964) che giuridica (il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, ratificato dall’Italia nel 1978); i principi di beneficenza, di non maleficenza e di equo accesso alle cure sanitarie, cui si ispira anche la Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti dell’Uomo e la biomedicina), firmata nel 1997 a Oviedo;
- Riteniamo che costringere alla vaccinazione, pena la sospensione dal lavoro e la perdita del sostentamento economico, rappresenti un’imposizione ingiustificata dal punto di vista sanitario e, in quanto tale, passibile di denuncia alla Corte Penale Internazionale come atto persecutorio nei confronti di un gruppo sociale, in questo caso identificabile dal suo status vaccinale (art. 7 Statuto di Roma),
per dimostrare che se anche 140 professori universitari hanno voluto far rilevare alle proprie istituzioni le innumerevoli illegittimità, la magistratura non può esimersi dall’intervenire per riportare quell’equilibrio costituzionale che è andato in frantumi per l’essere venuto meno ad ogni livello delle istituzioni l’onore di svolgere le proprie mansioni con la dignità di servire la Costituzione.
E’ evidente che l’avv. Francesco Scifo, non essendo vaccinato né guarito, subisce un danno grave e irreparabile dalla normativa che ha un carattere concreto, attuale e diretto: egli non potrà tornare né più spostarsi dalla propria residenza italiana di Cagliari perché realtà insulare, ove sono indispensabili navi o aerei, senza possesso ed esibizione del cd. pass rafforzato, previsto dalla normativa suddetta.
Tale prescrizione, attuata nel decreto legge ma prevista nelle delibere prodromiche, oggi impugnate, del Consiglio dei Ministri, si traduce in concreto non solo in una obbligatorietà surrettizia del vaccino, discriminante il ricorrente che abita su un’isola rispetto a tutti gli altri cittadini residenti sul continente e che possono spostarsi a piedi o in auto; ma anche in una violazione del diritto di difesa, del diritto alla continuità territoriale, al lavoro, alla mobilità, al diritto di stabilimento, al divieto di discriminazione: tutti tali diritti sono garantiti dai Trattati Europei e prevalgono sulle leggi nazionali anche in caso di emergenza sanitaria.
Lo spostamento investe infatti non solo l’Italia ma anche altro stato, la Confederazione Svizzera, che ha in essere convenzioni relative alle quattro libertà con l’Unione Europea e dove il ricorrente ha il proprio centro d’interessi.
Inoltre, il ricorrente, al di là delle esigenza connesse alla propria attività difensiva di avvocato, ha dovuto rinviare un processo presso il Tribunale penale di Lugano il 12 gennaio 2022, ove risulta persona offesa per calunnia a mezzo stampa e non potrà presentarsi se non potrà utilizzare mezzi di trasporto, con gravissimo ulteriore pregiudizio personale al suo diritto di difesa costituzionalmente tutelato.
Quanto sopra perchè per poter esercitare l’attività difensiva e il proprio stesso diritto di stabilimento e di mobilità, nonché la continuità territoriale e la propria difesa, il ricorrente deve, per forza di cose, prendere l’aereo o la nave.
Senza considerare che comunque la prescrizione vaccinale è irragionevole anche dal punto di vista sanitario, attesa la universalmente nota non idoneità dei prodotti approvati con riserva al commercio ed a disposizione allo stato attuale sul mercato, a garantire alcuna prevenzione dal contagio da covid19. Peraltro, si rileva che il ricorrente è sempre stato negativo a tutti i tamponi effettuati.
Per tali motivi, le deliberazioni impugnate impediscono al ricorrente, quali atti fondanti i decreti legge 52, 221, 229 del 2021, esercitare il suo diritto alla difesa nel processo penale, la sua libertà di circolazione, il suo diritto di stabilimento nella Confederazione elvetica e lo costringono a subire una ingiusta ed illegittima discriminazione rispetto a tutti i residenti nel continente europeo.
Atteso che non esiste nella Costituzione italiana alcuna graduatoria dei diritti inviolabili e che tale classifica non può essere fatta da nessuno legittimamente, le delibere del Consiglio dei Ministri poste a presupposto dei suddetti decreti legge e i decreti legge stessi che prevedono restrizioni alle quattro libertà garantite dai trattati europei sono illegittime perché in contrasto con la normativa eurounitaria: da tale contrasto deriva inequivocabilmente l’inapplicabilità ed inefficacia dei decreti legge n.ri 52,221,229 e di tutti quelli antecedenti e successivi che il Governo o il Parlamento anche in sede di conversione o di legge dovesse adottare, se contrari ai Trattati Europei.
Specificamente, a sostegno della necessaria disapplicazione dei decreti legge e dell’annullamento delle delibere impugnate del Consiglio dei Ministri su cui si fondano, si richiama la decisione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 del 2021 al punto n.51, la quale afferma in tema di concessioni ma, mutatis mutandis, valida di principio anche per ogni caso di violazione della normativa eurounitaria:
“Alla luce delle considerazioni che precedono, l’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
- 1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.
- Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legiferato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.
- Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E”.
Nel caso de qua le delibere impugnate e i decreti legge attuativi, laddove hanno precluso al ricorrente di potersi difendere davanti alla Corte di Lugano il 12 gennaio 2022 e di poter circolare liberamente in Italia che fa parte dell’Europa, violano gli artt.6, 18, 21, 45, 49 Tfue ed i regolamenti dell’Unione Europea n.953 del 2021, specificamente il 36 considerando, nonché la Carta dei diritti fondamentali europea artt. 1,2,3,12,21 regolamento UE n.679/2021 laddove costringono a esibire la propria situazione vaccinale per esercitare le quattro libertà e la risoluzione del Consiglio d’Europa n.2361 del 2021, punto 7.3 e seguenti, nonché la Costituzione artt.1, 2, 3, 10, 11, 13, 16, 117.
L’obbligo vaccinale surrettiziamente imposto per poter viaggiare e spostarsi in Europa viola altresì il diritto alla vita familiare del ricorrente dato che la famiglia si trova in Sardegna nella persona della figlia residente a Cagliari come da documento allegato, il diritto di difesa, il principio di non discriminazione e la libertà di stabilimento e di circolazione garantite dai Trattati e dalla CEDU.
La illegittimità delle stesse norme ne determina la conseguenza della necessaria totale disapplicazione come statuito, mutatis mutanndis, dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato in materia di concessioni balneari ma valido in via di principio, laddove in contrasto con i trattati europei.
Del resto, la prescrizione impugnata si basa sulla nuova proroga dello stato di emergenza che non è realmente determinata o circoscritta nel tempo.
Basta esaminare, infatti, che la deliberazione dello stato di emergenza, fu disposta per sei mesi a far data dal 31.1.2020, prorogata con deliberazione del 13 gennaio 2021 e succ.vi periodici provvedimenti e, da ultimo, con il decreto legge 221/2021 art. 1 fino al 30 marzo 2022: tutto ciò in elusione persino del divieto sancito nel d.lgs. n.1 del 2018. Quindi, ciò che rileva oggi è la prassi totalmente illegale adottata dal Governo per aggirare la Costituzione ed i Trattati europei e violare le garanzie costituzionali creando illegalmente un diritto della salute tiranno su tutti gli altri diritti inviolabili, alterando la divisione dei poteri e sostituendosi al Parlamento, con grave vulnus all’ordinamento costituzionale.
Ma vi è di più, la prima delibera dello stato di emergenza è stata adottata facendo riferimento al “rischio sanitario derivante da agenti virali trasmissibili” e richiamando in tal senso gli artt. 7, comma 1, lettera c) e 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1. Senonchè il dettato delle disposizioni normative in questione non contempla come eventi di protezione civile situazioni di rischio sanitario da agenti virali ma, unicamente, eventi calamitosi di origine naturale (terremoti, valanghe, alluvioni ecc.) o derivanti dall’attività dell’uomo (sversamenti, attività umane inquinanti ed altri).
L‘unica ipotesi costituzionalmente prevista di attribuzione al Governo di poteri normativi peculiari è quella disciplinata dagli articoli 78 e 87 relativa alla dichiarazione dello stato di guerra.
Poiché gli atti amministrativi sono soggetti al principio di legalità, la delibera impugnata del 14 dicembre 2021, fondativa del d.l. 221/2021 e quella del 29 dicembre fondativa del d.l. 229 del 2021, ancorchè atti di alta amministrazione, sono illegittime perché emesse in assenza totale di fonte normativa, attributiva del relativo potere, con conseguente illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti e disapplicazione di tutte le norme legislative contrastanti con la Costituzione ed i trattati, esattamente come quella sul pass rafforzato nei mezzi di trasporto.
La stessa deliberazione di proroga dello stato di emergenza è del tutto illegittima, perché affetta da vizi palesi d’incompetenza, violazione di legge, priva di logicità, abnorme, sintomatica del vizio di eccesso di potere per carenza evidente d’istruttoria. Di seguito, si evidenzierà, oltre alle norme violate, una mancata valutazione dei costi benefici e del razionale scientifico.
Considerata l’inefficacia palese di tutte le misure adottate dal Governo dal 31 gennaio 2020 alla data odierna: l’inefficacia delle misure è testimoniata dal più alto tasso di morti per la pandemia e per gli effetti collaterali da vaccino covid di tutti i paesi certificato a livello mondiale e dalla incompetenza scientifica degli organi su cui si basano le deliberazioni ovvero del CTS, già definito, anche da autorevoli riviste internazionali di medicina, privo di virologi.
Altresì, la stessa natura dell’infezione molto diversa da quella del marzo 2020, anche in termini di incidenza sulle strutture sanitarie, non legittima la proroga di alcuno stato di emergenza che, in assenza di una legge di delega delle Camere, non è determinabile con una semplice deliberazione del Consiglio dei Ministri per l’ovvio principio di gerarchia delle fonti che non può essere obliato neppure in caso di emergenze sanitarie.
Del resto, il Parlamento ha avuto oltre un anno per adottare una legge delega secondo le modalità di cui all’art. 78 della Costituzione e se non è stato fatto non può il Governo procedere con atti extraparlamentari a pena di sovvertire l’ordinamento costituzionale con appropriazione di poteri legislativi che non gli competono.
Nel preambolo dei decreti legge 221/2021 e 229 del 2021, dopo il tradizionale riferimento agli articoli 77 e 87 della Costituzione, si è inserito un esplicito riferimento all’articolo 16 della Costituzione, in quanto “consente limitazioni della libertà di circolazione per ragioni sanitarie”. Tuttavia, il solo riferimento all’articolo 16 della Costituzione non risulta sufficiente allo scopo. Infatti, come vedremo più dettagliatamente in seguito, le limitazioni imposte dai decreti legge in questione sono espressamente rivolte a introdurre nel nostro ordinamento un potere del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri straordinario (non più soltanto temporaneo dato che ormai con la nuova proroga supera i due anni) di regolazione in senso restrittivo limitativo o comunque impeditivo a carico delle persone e dei cittadini europei in Italia di un complesso di attività individuali e collettive che non sono certo identificabili e riassumibili nella mera libertà di circolazione che, prevista dall’articolo 16 della Costituzione, è sottoponibile, sempre sulla base dello stesso articolo 16 della Costituzione a “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza”. Perciò, anche questa formulazione del preambolo dei decreti legge n.ri 221 e 229 è connotata dall’assenza di ulteriori riferimenti ad altre disposizioni costituzionali legittimanti l’introduzione degli stringenti poteri regolatori di carattere emergenziale incidenti su altri diritti costituzionalmente protetti, deve essere oggetto oggi di apposita considerazione, come, ad esempio, è già avvenuto nel corso della giurisprudenza costituzionale relativa all’evidente mancanza dei presupposti necessari per l’adozione dei decreti legge (si vedano, tra le tante pronunce, seppure con diverso esito, le sentenza n. 171/2007, n. 154/2015, n. 133/2016 e n. 287/2016).
Infatti, a fronte della rilevanza primaria della tutela della salute, si pongono non solo diverse libertà fondamentali ma diritti inviolabili. In primo luogo, si pongono la libertà di soggiorno e soprattutto di circolazione. In proposito, l’articolo 16 della Costituzione pone una riserva di legge rinforzata a tutela di tali libertà, che possono essere limitate soltanto “con legge” e “per motivi di sanità o di sicurezza”. Collegata a tale disposizione è poi l’articolo 120, laddove stabilisce che “La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni”. Se si ritiene, come sostenuto in dottrina (Barbera, Pace), che la riserva di legge, posta dalla predetta norma costituzionale, abbia carattere assoluto, anche il DPCM del 14 gennaio 2021 richiamato dalle ordinanze impugnate è di dubbia legittimità. Resta il fatto che, se è vero che la libertà di circolazione può essere limitata “per motivi di sanità o di sicurezza”, nel caso delle misure anti contagio che impediscono al ricorrente di rientrare nella propria residenza o di esercitare il proprio lavoro o la vita familiare, più che una limitazione si è giunti a una sostanziale soppressione che incide la stessa libertà personale, di cui all’articolo 13 della Costituzione. Infatti, nel caso in esame l’impossibilità di visitare la figlia da parte del ricorrente impedito a prendere i mezzi di trasporto dalle norme illegittime, impone di ricercare un bilanciamento fra i diritti incisi e tutelati: vi sono dei precedenti nell’ambito del diritto di famiglia, ove si sono poste da subito questioni di rilevanza fondamentale. A titolo esemplificativo, un decreto della IX sezione del Tribunale di Milano (11 marzo 2020, giudice Gasparini) ha stabilito come, anche in tempo di emergenza sanitaria da Covid-19, DEVE essere garantito il diritto di visita e di frequentazione dei figli da parte dei genitori separati e divorziati; in tale ottica si chiarisce che gli spostamenti effettuati dai genitori separati o divorziati non collocatari dei figli, nell’esercizio del proprio diritto di visita, rientrano tra le situazioni di necessità previste dal DPCM del 2 marzo 2021 pure richiamato dai decreti legge in questione. Merita di essere ricordato come, in sede dottrinale (Lattanzi), sia stato evidenziato, in termini tanto provocatori quanto condivisibili e suggestivi, che la situazione che stiamo vivendo appaia paragonabile alla causa di giustificazione penale dello stato di necessità, che rende non punibili anche fatti gravissimi, quando sono avvenuti per la “necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”, non altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Se rispetto alla salute la proporzione degli altri beni è in generale qualificabile al ribasso mai possono essere compressi con legge, ad libitum dell’organo esecutivo o dello stesso Parlamento, diritti inviolabili senza specifica delimitazione temporale non prorogabile, anche se l’incisione delle libertà fondamentali è tale da dover essere sempre trattata con la più profonda delicatezza. Se è vero che nessun diritto è più fondamentale del diritto di tutti alla vita e alla salute, viene rilevato come altrettanto importante sia la centralità del Parlamento, la quale non può essere dimenticata affidando il governo dell’emergenza alle quotidiane determinazioni dell’esecutivo. La ricerca di un giusto equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo e il perseguimento di esigenze collettive è un tema che costantemente gli operatori giuridici si trovano ad affrontare. Il “bilanciamento” è connaturato alla stessa natura dei diritti umani, i quali entrano costantemente in contrasto tra loro e con interessi di ordine generale. Mai come in questo periodo, tuttavia, la drammaticità di tale contrasto si è manifestata in modo tanto evidente, e soprattutto incisivo sulla vita delle persone. Va qui considerato che le misure adottate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri incidono, pesantemente, sul godimento di una serie di diritti costituzionalmente garantiti quali, in particolare, il diritto alla vita familiare, la libertà personale (art. 13), la libertà di movimento (art. 16 Cost.) e di riunione (art. 17 Cost.), i diritti dell’individuo nell’ambito della famiglia (artt. 31 e 32 Cost.), il diritto alla scuola e all’istruzione (art. 34 Cost.), la libertà di impresa (art. 41 Cost.) Per non dire il diritto al lavoro. Le misure del lasciapassare rafforzato per accedere ai mezzi di trasporto comprimono totalmente i diritti ora menzionati: non essendo gli spostamenti consentiti nemmeno per comprovate esigenze lavorative, di estrema urgenza e necessità ovvero per motivi di salute. Questi ed altri esempi, poi gradualmente arrivati all’esame della giurisprudenza, potrebbero farsi, con la conseguenza che viene da chiedersi: fino a che punto lo Stato è legittimato a limitare i diritti degli individui, seppur per il (legittimo) perseguimento di una finalità di interesse generale, quale la tutela della salute pubblica? E soprattutto, ove si trova il fondamento normativo di tale potere? “La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza ed anzi la nostra Repubblica ha attraversato varie situazioni di crisi, a partire dagli anni della lotta armata, senza mai sospendere l’ordine costituzionale”. Così ha affermato perfino l’attuale ministro della Giustizia, già Presidente della Consulta, Marta Cartabia. Il 5.12.1946, la Sottocommissione, incaricata all’interno della Commissione dei 75 (cosiddetta dal numero dei componenti) di elaborare la prima parte della Costituzione, inserisce nel Progetto di Costituzione, al 2° comma dell’art.50, la seguente disposizione, “Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”. La norma è proposta dall’On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall’On. demo-laburista Cevolotto, che si sono ispirati ad altre Carte Costituzionali, in particolare all’art.21 della Costituzione francese del 1946, che stabilisce: ”Qualora il Governo violi la libertà ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti ed il più imperioso dei doveri”. Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione è discusso nel plenum dell’Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di resistenza, sollevano dei dubbi sull’opportunità del suo inserimento nella Costituzione. Come detto, la violazione più grave ravvisabile negli atti impugnati è quella della libertà personale di cui all’art. 13 della Costituzione e del diritto alla vita familiare: l’obbligo di trattamento sanitario (vaccino) di fatto imposto al ricorrente per poter circolare, per esercitare attività d’impresa, per raggiungere la propria famiglia e abitazione nell’Isola, incidendo sulla incolumità fisica delle persone con un obbligo di vaccino con prodotti non immunizzanti e tutt’ora autorizzati con riserva al commercio è estremamente invasivo e lesivo della stessa dignità personale, del diritto al consenso libero ed informato ed incide pesantemente sulla libertà personale. La Corte costituzionale n. 180/2018 ha definito la libertà personale “un valore unitario e indivisibile, che non può subire deroghe o eccezioni.” È bene sottolineare ancora che la libertà personale è garantita da una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, giacché è sempre necessaria una legge che ne disponga la limitazione–perché il Giudice non può intervenire se non nell’applicazione di una legge– e l’intervento di un magistrato terzo e indipendente. Inoltre, si tratta di una misura che può essere imposta ai cittadini solo nell’ambito di un procedimento con le garanzie del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. E infatti, Corte cost., 29.05.1968, n. 53 stabilì che l’incisione sulla libertà personale, indipendentemente dalla natura giurisdizionale o amministrativa del procedimento finalizzato a limitare tale diritto fondamentale, richiedesse sempre il riconoscimento al soggetto interessato del diritto alla difesa. È chiaro, invece, che nel caso in esame la limitazione della libertà personale è stata disposta nei provvedimenti impugnati e nei decreti legge senza alcuna possibilità per l’interessato di far valere qualsiasi considerazione individuale e comunque con provvedimenti globali e omnicomprensivi.
Da ultimo, occorre ricordare che secondo la sentenza n. 26 del 27.05.1961, dettata dalla Consulta in materia di ordinanze contingibili e urgenti, “nei casi in cui la Costituzione stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una determinata materia (per esempio, art. 13, terzo comma), non può concepirsi che nella materia stessa l’art. 2[del TULPS nel testo allora vigente]permetta la emanazione di atti amministrativi che dispongano in difformità alla legge prevista dalla Costituzione.” La limitazione per atto amministrativo, quali sono pur sempre le delibere del Consiglio dei Ministri fondative dei decreti legge in questione, quindi, della libertà personale è sempre e comunque inammissibile; salvo i ristretti limiti previsti dall’art. 13 e coincidenti con il fermo di polizia temporalmente predeterminato, ma mai è costituzionalmente neppure ipotizzabile un obbligo lesivo della dignità umana a tempo indeterminato quale è il vaccino per poter circolare e quale conditio sine qua non, per poter godere di diritti inviolabili. Quanto alla già richiamata questione del bilanciamento con il diritto alla salute è opportuno ricordare che secondo C. Cost. n. 85/2013 “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Risulta violata quindi dai provvedimenti impugnati non solo la libertà di movimento di cui all’art. 16 che è garantita da una riserva di legge rafforzata ma pure la libertà d’impresa e la libertà personale. La mancata menzione dell’art. 13 nei provvedimenti impugnati ed in quelli richiamati da essi denota carenza istruttoria grave ed insanabile vizio di eccesso di potere e financo d’incompetenza del Consiglio dei Ministri ad emanarli: anche essendo la gestione della epidemia a carattere europeo ed internazionale come dimostra il regolamento UE n.953 del 2021 che la stessa ha violato dato che il ricorrente ha il suo centro d’interesse anche in Svizzera che ha stipulato convenzioni sulla circolazione con la Unione Europea: L’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) costituisce la base per il coordinamento dei vari sistemi di sicurezza sociale tra la Svizzera e gli Stati membri dell’Unione europea (UE). Concluso il 21 giugno 1999 tra la Svizzera e l’UE ed entrato in vigore il 1° giugno 2002, l’ALC si prefigge di favorire la mobilità geografica e professionale, facilitando le condizioni di soggiorno e di lavoro all’interno degli Stati interessati. Garantendo un migliore coordinamento dei diversi sistemi di sicurezza sociale, l’Accordo consente di beneficiare di una copertura oltre i confini nazionali. L’allegato II dell’Accordo prevede disposizioni sul coordinamento applicabili all’interno dell’UE, nella fattispecie i regolamenti (CE) n. 883/2004 e n. 987/2009. Con l’ALC, anche la Svizzera è vincolata a questi regolamenti
Quindi, tutti tali accordi e regolamenti europei risultano violati dai provvedimenti e decreti leggi governativi impugnati: non solo, infatti, è necessaria una legge per atti pesantemente incidenti sulla persona, quali sono quelli impugnati, ma questa deve essere anche disposta in via generale e deve essere motivata da precise ragioni di sanità che non possono essere una generica proroga dello stato di emergenza. La violazione della libertà di movimento ad opera dei provvedimenti impugnati è stata disposta invece con modalità senza precedenti, ed ha riguardato non già i malati a rischio di contagiare tutti gli altri–che potrebbero essere destinatari di un provvedimento specifico e individualizzato –, ma i sani, gli asintomatici, con una singolare inversione del normale concetto di quarantena. La gerarchia delle norme, la riserva di legge e la stessa razionalità è stata palesemente violata dalle delibere impugnate e dei decreti-legge a monte citati che si sono susseguiti; giacché le limitazioni alla libertà di movimento violano le norme specifiche eurounitarie sul lasciapassare statuite dal regolamento europeo che prevede tre necessarie forme di limitazione: vaccino, guarigione o TAMPONE rapido o PCR.
Vale allora precisare che: il Regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19 (Testo rilevante ai fini del SEE) Testo rilevante ai fini del SEE prevede, obbligatoriamente, per gli Stati membri, accanto al certificato di vaccinazione o di guarigione, all’art. 3 lett. b) e all’art. 6, l’obbligo di rilascio di un certificato comprovante che l’interessato è stato sottoposto a test NAAT o antigenico rapido, idoneo a legittimare la circolazione.
Tale obbligo è stato violato dall’Italia nei provvedimenti impugnati che devono perciò essere disapplicati qualsiasi forma abbiano: provvedimento amministrativo, legge o sentenza.
La quarantena dei sani, inoltre, misura inusitata e mai vista nella lunga storia della lotta del genere umano alle malattie infettive, costituisce un trattamento sanitario forzoso imposto per atto amministrativo che viola, infine, in modo palese e patente anche l’art. 32 della Costituzione. Le indicazioni della Corte Costituzionale riguardo al valore costituzionale del principio del consenso informato del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico sono chiare: il consenso è principio qualificabile come “vero e proprio diritto della persona”, che “trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”“(sentenza n. 438 del 2008): le ordinanze impugnate bypassano indebitamente la riserva di legge, svolgendo, in pratica, una “funzione di sintesi” tra il diritto all’autodeterminazione e quello alla salute (sentenza n. 253 del 2009). In quest’ottica, la citata l. n. 219 del 2017 riconosce ad ogni persona “capace di agire” il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza(…). In ogni caso, il medico “è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo”, rimanendo, “in conseguenza di ciò, … esente da responsabilità civile o penale” (art. 1, comma 6). La sentenza in questione interpreta, dunque, il diritto alla libertà personale e la libertà di cura come beni superiori a quello della salute con la conseguenza che ciascuno deve poter essere in grado di prendere decisioni anche in contrasto con l’interesse alla cura e alla conservazione della propria salute, giacché i diritti di libertà individuale sono posti al di sopra di ogni valutazione medica. Tutti gli atti, i decreti legge e le leggi succitate sono infine ancorati al richiamo dei decreti legge che hanno prorogato lo stato di emergenza: il Governo infatti ha ancorato propri poteri di emergenza alla delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili) che, adottata ai sensi del c.d. degli artt. 7 e 24 del d.lgs. 1/2018 (codice della protezione civile), prefigura la sua proroga sino a 12 mesi ulteriormente estensibili di altri 12 mesi. QUINDI, stando all’impostazione data dal Governo nella delibera del consiglio dei ministri del 14 dicembre 2021, recepita nel decreto legge n.221 del 2021 art.1, i poteri di emergenza che l’esecutivo si è auto-attribuiti rischiano un’estensione sine die, dipendente oltretutto dalle decisioni dei vari comitati di esperti nominati dal Governo stesso che agiscono al di fuori di qualsiasi controllo democratico ed alle cui indicazioni il Governo ha più volte indicato di volersi attenere con una sostanziale delega dei poteri di decisione politica e presunti scienziati. In altri termini, l’esistenza di un’emergenza sanitaria è stata utilizzata dal Governo, ed a cascata dalle Autorità regionali e locali, allo scopo di attribuirsi poteri pressoché dittatoriali, volti a impedire o limitare l’esercizio dei diritti fondamentali da parte di tutti i cittadini nell’ambito di una situazione di allarme apparentemente limitata nel tempo ma sostanzialmente estensibile ad libitum. Gli atti impugnati violano perciò non solo la Costituzione, ma anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ratificata in Italia con la legge n. 848 del 4.08.1955 ed al cui rispetto l’Italia è tenuta in forza dell’art. 10, 11 e 117 della Costituzione. Infine, veniamo alla lesione della libertà d’impresa e delle quattro libertà dell’Unione Europea. Il “mercato unico” all’interno dell’Unione Europea è fondato sulle quattro libertà fondamentali quali la libertà di movimento dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali, previste dall’art. 26 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), a cui si aggiungono i diritti dei cittadini europei di muoversi e risiedere nei diversi Stati Membri (art. 20 e 21 TFUE). Tutte tali libertà sono state violate dalle deliberazioni e decreti legge contestati. Neppure può obiettarsi che le esigenze di tutela sanitaria siano prevalenti su tali libertà perché non è così per i Trattati, tra cui è da citare la Carta Europea dei diritti fondamentali art.1 dignità umana, 2 alla vita, 3 par. 2 sul consenso libero e informato obbligatorio ai trattamenti sanitari e 8 sul diritto alla riservatezza dei dati personali, quando non si voglia intendere come tortura il trattamento imposto di un tampone invasivo per ogni spostamento e quindi violativo dell’art. 4 della Carta: il giudice a quo deve disapplicare le leggi nazionali, decreti legge in contrasto con i Trattati. La Commissione europea ha richiamato gli Stati membri a tornare ad un approccio coordinato sulla libertà di movimento delle persone e delle merci: “Chiediamo di tornare ad un’applicazione corretta delle raccomandazioni adottate dal Consiglio Ue. Abbiamo inviato una lettera a sei Stati membri sul divieto di ingresso e uscita dal Paese, perché sono andati troppo oltre”. Possono “scoraggiare” i viaggi ma non “vietarli”. Così il commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, a margine del Consiglio Affari generali Ue. “Chiediamo a sei Stati membri un approccio diverso alla frontiera, di non bloccare i camionisti perché vogliamo una libera circolazione delle merci nel nostro mercato interno”, ha aggiunto il commissario Ue. I Paesi che hanno ricevuto la lettera di richiamo dalla Commissione europea per le misure troppo restrittive alle frontiere interne sono Germania, Belgio, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Svezia e di recente anche l’Italia.
Vaccinazione non può essere obbligo per viaggiare – Europa – ANSA.it
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Tutto ciò premesso e richiamato getta una sinistra ombra su tutto l’operato del Governo, che deve aver preso la palla al balzo dall’errore di titolazione del regolamento UE n. 953/2021 nella indicazione del vaccino come anti COVID-19, (quando è un vaccino anti SARS CoV2, ovvero contro il virus e non contro la malattia denominata invece COVID-19), per emettere il decreto legge 23 luglio 2021, n.105 con la definizione di una epidemia diversa da quella delle 4 precedenti proroghe, al fine di tentare con il successivo decreto legge24 dicembre 2021, n. 221 di prolungare lo stato di emergenza oltre la data limite del 31 gennaio 202, in violazione palese di legge.
PRECISATO INFINE,
CHE Dalla mancata predisposizione e/o dal mancato aggiornamento del PIANO PANDEMICO NAZIONALE e dalla illegittima dichiarazione di emergenza, sono derivate alla Nazione e alla cittadinanza tutta, conseguenze gravissime e molteplici danni. A meri fini esemplificativi e non esaustivi, si rammenta il numero elevato di morti che ha visto l’Italia collocata in vetta alla classifica mondiale, i divieti di circolazione, il confinamento tra le mura domestiche, la chiusura di attività produttive e commerciali di ogni natura, il divieto di presenziare alle funzioni e ai riti religiosi, l’oltraggio al cadavere e alla pietà religiosa, le gravi restrizioni allo svolgimento delle comuni mansioni e attività, l’obbligo surrettizio di vaccinazione (imposto ad intere categorie sotto minaccia di privarle del lavoro e/o dello stipendio), la molteplicità di suicidi causati dall’impossibilità di molte persone di continuare a provvedere a sé e ai familiari, il danno alla salute causato da misure incongrue, improvvisate e contraddittorie.
CHE dalla descrizione dei fatti non può non essersi constatata la violazione dei seguenti articoli della nostra meravigliosa Costituzione:
Articolo 1 – Sono state violate forme e limiti di esercizio della sovranità popolare, costituite dalle Istituzioni democratiche delineate dall’art. 55 e seguenti della Costituzione.
Articolo 2 – Sono stati violati i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali.
Articolo 3 – Discriminati i cittadini per opinioni politiche e condizioni personali e sociali.
Articoli 4, 35, 36 e 38 – E’ stato ostacolato il lavoro e sono stati privati i cittadini del reddito e di qualunque forma assistenziale.
Articolo 10 – Sono state disattese le norme del diritto internazionale che vietano le sperimentazioni senza il consenso dell’interessato (ad esempio, Convenzione di Oviedo).
Articolo 11 – E’ stato disatteso il Regolamento UE n. 953/2021.
Articolo 13 – E’ stata violata la libertà personale fuori dai casi previsti dalla legge.
Articolo 16 – E’ stata impedita la libera circolazione.
Articolo 17 – E’ stato ostacolato il diritto di riunione.
Articolo 24 – E’ stato sottratto il diritto alla difesa in giudizio.
Articolo 31 – Sono state esposte le donne in gravidanza a reazioni avverse spesso culminate in aborti, ed esposto l’infanzia e la gioventù ad una dimensione di vita distopica e disumana.
Articolo 32 – E’ stato imposto con Decreto Legge un obbligo vaccinale consistente in un innovativo trattamento genico in fase di sperimentazione, senza cura di alcun limite imposto dal rispetto della persona umana, anzi attraverso ricatti e sanzioni.
Articolo 33 – Sono stati diffamati e perseguitati, anche con provvedimenti disciplinari, i medici, gli scienziati e tutti coloro che non si sono allineati alla narrativa pandemica del Governo.
Articolo 41 – E’ stata impedita l’iniziativa privata.
Articolo 49 – E’ stata impedita la libera associazione dei cittadini in partiti, come conseguenza della violazione degli articoli 13 e 16.
Articolo 54 – E’ stata tradita la Repubblica, violate la Costituzione e le leggi.
Articolo 70 – E’ stata esautorata la funzione legislativa del Parlamento.
Articolo 77 – E’ stata adottata la decretazione d’urgenza priva dei suoi requisiti essenziali.
Articolo 139 – E’ stato perseguito il mutamento sostanziale degli equilibri democratici della Repubblica nel rapporto concreto tra Governo e cittadini e tra le Istituzioni.
CHE dalla descrizione dei fatti e ai soli fini indicativi, non si può non ipotizzare la violazione dei seguenti articoli del codice penale:
- art. 422 c.p. (Strage),
- 283 c.p. (attentato contro la Costituzione dello Stato) e
- 289 c.p. (Attentato contro organi costituzionali),
- 294 c.p. (Attentati contro i diritti politici del cittadino),
- 629 c.p. (Estorsione),
- 405 c.p. (Turbamento delle funzioni religiose del culto cattolico),
- 410 c.p. (Vilipendio di cadavere),
- 411 c.p. (Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere).
- Tutti gli altri reati che verranno ritenuti
TUTTO CIÒ’ PREMESSO
Si rimane basiti come nella giornata della memoria del 27 gennaio u.s. il Ministro Bianchi, il Presidente Draghi e altri ministri dell’attuale Governo abbiano avuto il coraggio di parlare dell’importanza di non discriminare, di tutelare le minoranze e di rispettare l’art. 3 della Costituzione, che sancisce il fondamentale diritto di uguaglianza tra i cittadini.
E questo invito da parte di chi nella nostra Nazione con gli attuali strumenti legislativi ha via via attuato una sottile quanto pericolosa separazione di natura razzista dei cittadini italiani, riuscendo a fomentare conseguentemente persino nei media e nelle trasmissioni televisive l’odio verso una minoranza della popolazione che liberamente ed eventualmente, solo a danno della propria salute, ha deciso di non sottoporsi a questi sieri sperimentali, mentre veniva accreditata una sorta di presunzione di contagiosità da parte di quei cittadini che hanno deciso liberamente e legalmente di non sottoporsi a tale vaccinazione sperimentale, mentre si affermava erroneamente che i vaccinati non potevano né contagiarsi né, a loro volta, contagiare terze persone e, nonostante fosse accertato il contrario, si è perseverato in misure coercitive prive di valore preventivo nei confronti dei non vaccinati.
Ecco allora che per punizione, proprio come si faceva nei regimi comunisti, fascisti o nazisti, si tolgono ai non vaccinati tutti i diritti fondamentali che gli appartengono dalla nascita e che sono stati garantiti dai nostri padri Costituenti, come peraltro risulta sancito con l’ultimo decreto legge del 7 gennaio 2022, n.1, per effetto del quale costoro verranno perseguiti, se non dovessero assoggettarsi al ricatto della vaccinazione, con una sanzione amministrativa, che non si può non configurare come una vera e propria estorsione.
A FRONTE DI TUTTI QUESTI MOTIVI SI CHIEDE
che venga adottato provvedimento urgente di ordine di disapplicazione di tutti i provvedimenti indicati in premessa da parte dell’Autorità Giudiziaria anche a tutela immediata dello scrivente in ossequio all’art. 13 della Costituzione; che sia esercitata l’azione penale nei confronti di tutti i responsabili degli atti illegali adottati in ordine alla dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi del Decreto Legislativo 2 gennaio 2018, n.1, ed atti successivi e conseguenti, in quanto non ricompresi nelle norme di indirizzo e dei principi e dei criteri direttivi dettati dal Parlamento nella Legge delega 16 marzo 2017, n.30 “Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile”, e si chiede sin d’ora di ricevere l’avviso ex art. 408 c.p.p. nella denegata ipotesi di una richiesta di archiviazione.
Riserva di integrare il presente esposto con ulteriori osservazioni e documentazione.
Con deferente osservanza Roma 16 febbraio 2022
Avv. Francesco Scifo
Per scaricare l’esposto in formato pdf: denuncia procura roma avv. scifo
Avv. Linda Corrias e avv. Scifo: denuncia penale al governo elaborata con Generale dei Carabinieri!!
Guarda questo video: https://youtu.be/ADp4emyxlR0
Note:
D. Lgs. n.1/2018 art.16:
comma 1: “L’azione del Servizio nazionale si esplica, in particolare, in relazione alla seguenti tipologie di rischi: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico idrogeologico, da fenomeni meteorologici avversi, da deficit idrico e da incendi boschivi”;
comma 2: “Ferme restando le competenze dei soggetti ordinariamente individuati ai sensi della vigente normativa di settore e le conseguenti attività, l’azione del Servizio nazionale è suscettibile di esplicarsi altresì, per le seguenti tipologie di rischi: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario e da rientro incontrollato di oggetti e detriti spaziali”;
comma 3:“Non rientrano nell’azione di protezione civile gli interventi e le opere per interventi programmati o programmabili in tempo utile che possono determinare criticità organizzative……”.
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