Intervista al Prof. Luca Marini, Diritto Internazionale La Sapienza – Roma, CNB, CIEB. la direttiva 98/44CE e la ‘pandemia’

Luca Marini insegna diritto internazionale alla Sapienza di Roma, è stato vice presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) e attualmente coordina i lavori del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB).

 

Il Prof. Luca Marini mette in luce dagli anni Novanta le incongruenze e i paradossi politico-normativi delle biotecnologie ed è stato tra i primi, insieme al prof. Francesco Benozzo, a criticare la gestione del Covid. Nei libri  ‘Covid. Prove tecniche di Totalitarismo’, del 2021 e Biopandemismo® del 2022, entrambi editi da La Vela i due autori argomentano la critica verso una narrazione pandemica che bolla come “complottista” qualsiasi voce dissenziente e rivela i limiti della bioetica, del biodiritto e della biopolitica.

  1. Le vicende ‘pandemiche’ che ci tengono in scacco da due anni hanno messo in luce come alcuni segmenti sperimentali della scienza si stiano muovendo con straordinaria rapidità rispetto al diritto e all’etica. Condivide questo punto di vista?

Senz’altro. Il punto di partenza, come anche di arrivo, dell’analisi bioetica è proprio capire che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente lecito. Diversamente, chi liquida le questioni bioetiche affermando sbrigativamente che il diritto è troppo lento per inseguire e disciplinare i progressi della tecnologia, finisce di fatto per avallare il far west giuridico e normativo e non rende un buon servigio alla tutela dei diritti e della dignità dell’essere umano.

 

  1. Uno degli elementi più evidenti riguardanti questa esperienza globale è la spaccatura verticale esistente tra l’opinione pubblica, divisa tra una minoranza che si rende ben conto della gravità di quanto accade (ad esempio la sperimentazione genetica senza precedenti) e una maggioranza cui, tutto sommato, sembra stare tutto bene. Questi punti di vista sono trasversali rispetto al livello culturale o all’orientamento politico e religioso delle persone (malgrado i tentativi di polarizzare politicamente gli schieramenti estremizzando ed ideologizzando le posizioni). C’è una mancanza da parte delle Università, secondo Lei? Cosa si sarebbe dovuto fare per non arrivare a questo punto?

La vicenda Covid ha confermato che l’università non è più da tempo la sede del pensiero critico. Del resto era sotto gli occhi di molti che certe carriere accademiche, soprattutto in certi settori scientifici, fossero da tempo pianificate allo scopo di “mettere in cattedra” la persona giusta che al momento giusto avrebbero detto le cose giuste. Che è poi quanto accade anche al di fuori del mondo universitario.

 

  1. Noi stiamo usando massivamente e ripetutamente delle sostanze che sono ancora in sperimentazione e pertanto sono state autorizzate in via emergenziale. La sperimentazione è iniziata nel dicembre del 2021 e ormai i dati ci sono. Queste sostanze non funzionano in quanto non offrono l’immunità promessa e sono con ogni probabilità la causa di un aumento anomalo di ospedalizzazioni e morti anche tra giovani, dovute a trombosi, arresti cardiaci, problemi circolatori ecc… Da un punto di vista bioetico e del biodiritto è ancora logico caldeggiare l’opportunità di sottoporsi a queste sperimentazioni?

Se lo chiede a me, devo risponderle che, dal punto di vista bioetico e biogiuridico, non è mai stato logico caldeggiare la campagna vaccinale. Forse la domanda andrebbe rivolta agli organismi, pubblici e non, che per evidenti ragioni di contiguità con il potere costituito, politico e non, hanno avallato incondizionatamente la campagna in questione, abdicando con ciò alla funzione di salvaguardare diritti e dignità dell’essere umano. In ogni caso, che l’efficacia e la sicurezza dei cosiddetti vaccini anti-Covid siano per lo meno incerte non lo dico io, ma la normativa europea di riferimento, che infatti li autorizza solo in via provvisoria e condizionata: che poi su questa autorizzazione sia stata costruita una scellerata campagna vaccinale è un problema di ordine politico e come tale andrebbe affrontato.

 

  1. La Direttiva 98/44CE riguarda la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche. E risale agli anni 90. Nel frattempo le biotecnologie hanno affrontato ‘salti quantici’ portando un carico di questioni etiche senza precedenti. La normativa europea è ancora attuale? E’ in grado di difenderci dalle insidie e dagli interessi farmaceutici relativamente ad esempio alla biopirateria?

Come tutti gli strumenti giuridici dell’Unione europea, organizzazione di ispirazione chiaramente mercantilista e globalista, la direttiva n. 98/44 non si preoccupa affatto di salvaguardare i diritti o le libertà fondamentali dell’essere umano, quanto il potenziale tecnologico, industriale e commerciale delle biotecnologie. Se qualcuno avesse dubbi al riguardo, basti ricordare che la direttiva è espressamente intitolata, tout court, alla “protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche”.

 

  1. Secondo la direttiva, il corpo umano o suoi elementi non sono brevettabili, anche se si tratta di un gene o della sequenza di un gene. Invece, se un elemento viene isolato dal corpo umano o prodotto tramite un procedimento tecnico, l’invenzione è brevettabile. E’ un controsenso? Soprattutto cosa accade, invece, se avviene il contrario? Ossia se un organismo modificato geneticamente fa ingresso nel corpo umano. E’ il caso dei ‘vaccini’ di nuova generazione che comportano l’integrazione cellulare.

Lei sta sollevando uno dei principali, se non il principale, snodo problematico di quella direttiva, che nessuno, in quasi un quarto di secolo, si è preoccupato di sciogliere. Non c’è da stupirsene, del resto, visto che quell’impianto normativo sta ora per tornare utile in vista delle modificazioni genetiche che potrebbero derivare dalla sperimentazione di massa che da un anno e mezzo i media e la politica spacciano impunemente per vaccinazione.

 

  1. La direttiva non considera invenzioni brevettabili quelle il cui sfruttamento sarebbe contrario all’ordine pubblico e vieta la brevettabilità di varietà vegetali e razze animali, come anche i procedimenti biologici per ottenere piante e animali. Sappiamo, però, che la sperimentazione nel campo dell’ingegneria genetica fa uso di topi ‘umanizzati’, e cioè ingegnerizzati in modo da produrre proteine umane al fine di consentire studi in vivo sull’uomo senza usare l’uomo. Esistono agenzie in grado di produrre animali umanizzati in base alle richieste del cliente[1] che voglia validare un trattamento medico in fase preclinica. Un animale umanizzato ha gli stessi diritti di un essere umano? Quanti geni umani occorrono e quali affinché un animale non sia considerato alla stregua di un essere umano?

È sotto gli occhi di tutti che la vicenda Covid ha aperto la strada a nuovi modelli di corporeità umana. In questa prospettiva gioca un ruolo essenziale la convergenza di tecnologie orientate verso traguardi transumani o addirittura post-umani (nanotecnologie, neuroscienze, biologia sintetica, robotica), nonché la sperimentazione animale. Provi a immaginare quali peculiarità fisiologiche può rivelare un organismo che vive in condizioni ambientali estreme (gli abissi marini o i corpi celesti, ad esempio) e quali ricadute economiche avrebbe la brevettabilità di una invenzione avente ad oggetto l’impianto sull’uomo di quelle caratteristiche. Può quindi comprendersi l’importanza di quanto ho ricordato in apertura, ossia che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente lecito, nonché l’esigenza di salvaguardare il primato dell’essere umano sugli interessi della scienza e della società, come codificato dalla Convenzione di Oviedo sulla biomedicina.

 

A cura di Chiara Madaro – 29.04.2022

[1] https://www.ozgene.com/services/humanized-mice

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1 commento

  1. Stefania Negro

    Straordinariamente interessante. Induce a profonde riflessioni.

    Rispondi

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