Suicidio e agricoltura. Un binomio tossico sempre più evidente.
E’ quanto emerge da un recente documentario (disponibile qui) della Folha de São Paulo[1] in cui si denuncia il preoccupante fenomeno in costante aumento dei suicidi in ambiente rurale[2].
Ma in Brasile il fenomeno era stato notato già negli anni ’90 al punto che Jair Krischke, presidente del Movimento per la Giustizia e i Diritti Umani, MJDH, di Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul, aveva avviato uno studio internazionale con il supporto del Gruppo interdisciplinare per la ricerca e l’azione in agricoltura e salute, GIPAS.
Il Gruppo, guidato dall’agronomo Sebastião Pinheiro, aveva evidenziato la relazione tra l’introduzione del tabacco transgenico nello Stato del Rio Grande do Sul, l’uso di pesticidi e i suicidi tra gli agricoltori del comune di Venâncio Aires, a 140km da Porto Alegre.
Lo studio termina nel 1996 con un rapporto: “Suicide and mental disease in Venâncio Aires”[3].
A 25 anni di distanza il fenomeno mostra un notevole peggioramento[4] ma il Brasile si appresta a votare per il contestato PL Veneno, un progetto di legge che liberalizza ancora di più l’uso di agrotossici formalmente vietati in Europa e Stati Uniti.
E non solo in Sudamerica.
I paesi ‘megadiversi’ sono stati i primi a definire gli effetti avversi della Rivoluzione Verde e dei suoi veleni. Tra questi l’India vanta decenni di lotte contro l’approccio biotech in agricoltura.
Alcuni anni fa avevamo già denunciato come negli ultimi 20 anni si siano contati circa 12mila suicidi all’anno in India, per un totale di 300mila contadini.
Un record per l’agricoltura indiana che collassa sotto la scure del debito contratto dalle famiglie contadine in seguito all’introduzione del cotone BT da parte di Monsanto avvenuta a partire dal 2002.
Le responsabilità delle politiche delle grandi lobby dell’agribusiness vengono rilevate in particolare nel ACHARYA REPORT (disponibile qui), dal nome dell’autore Basudeb Acharya, a capo del Comitato parlamentare permanente per l’agricoltura del parlamento nazionale indiano. Il rapporto, altrimenti noto con il titolo “Cultivation of Genetically Modified Food Crops – Prospects and Effects”, fa il punto della situazione agricola indiana dopo 4 anni di ricerca durante i quali i componenti del Comitato hanno intervistato tutti gli stakeholders. Punto di partenza delle ricerche: i luoghi in cui il fenomeno è partito, ovvero Vidarbha nel Maharashtra, una delle regioni in cui le attività cotoniere rappresentano la maggiore e più importante forma di guadagno per le popolazioni locali e che oggi, in India, registra la più vasta copertura di produzione di cotone BT.
La commissione stabilì che: “”[8.124] Durante le estese interazioni con gli agricoltori nel corso delle visite di studio, il Comitato ha riscontrato che non vi sono significativi benefici socio-economici per gli agricoltori a causa dell’introduzione del cotone Bt. Al contrario, essendo una pratica agricola ad alta intensità di capitale, gli investimenti che gli agricoltori hanno dovuto sostenere sono aumentati, esponendoli, in tal modo, a rischi molto maggiori a causa del massiccio indebitamento che la grande maggioranza di loro non può permettersi. Come risultato, dopo l’euforia di alcuni anni iniziali, la coltivazione del cotone Bt ha solo aggravato la miseria dei piccoli agricoltori marginali che costituiscono oltre il 70% delle coltivazioni in India”[5].
Ma alla questione sociale si accosta anche il rischio sanitario riguardante l’insorgenza di malattia mentale, depressione ed altri deficit cognitivi all’uso di pesticidi[6].
Un sistema folle capace unicamente di servire il sistema monopolistico di Monsanto ed evidenziato nei paesi sudamericani[7] e africani[8] che detengono grandi estensioni terriere destinate alle monocolture intensive.
Monsanto vende semi transgenici ai contadini. Si tratta di semi sterili per cui per ogni raccolto si deve comprarne di nuovi. Le piante cresciute da semi transgenici si ammalano più facilmente e necessitano di quantità sempre maggiori di pesticida mentre i terreni si impoveriscono.
Un sistema capestro che impone aiuti statali e che finisce per imprigionare l’economia e la capacità produttiva dei Paesi dietro le sbarre di imprese private.
Si calcola che ben il 75% del debito agrario sia da imputare al valore sempre maggiore degli acquisti cui i contadini sono costretti[9].
Una gabbia che parte dal 1988 quando Banca Mondiale impone all’India una Politica sui Semi che richiede la deregolamentazione del settore. “Cinque cose sono cambiate con l’ingresso di Monsanto – afferma la Prof.ssa Vandana Shiva: Primo, le compagnie indiane sono state inserite in accordi di joint ventures e license (…). Secondo, i semi che erano stati la comune risorsa dei coltivatori, sono diventati ‘proprietà intellettuale’ di Monsanto che ha iniziato a collezionare royalty aumentando, tra l’altro, il costo dei semi. Terzo: i normali semi di cotone impollinati, furono sostituiti da ibridi, compresi gli ibridi OGM. Una risorsa rinnovabile è diventata un articolo brevettato non rinnovabile. Quarto, il cotone che precedentemente veniva coltivato insieme a coltivazioni destinate all’alimentazione, ora cresce in forma di monocoltura, determinando una maggiore vulnerabilità agli insetti nocivi, alle malattie, alla siccità e al fallimento delle coltivazioni. Quinto, Monsanto ha iniziato a sovvertire il processo regolatorio indiano iniziando ad usare risorse pubbliche allo scopo di spingere nella cosiddetta partnership pubblico/privato (PPP) i suoi semi OGM ibridi non rinnovabili”[10].
La giustificazione che imporrebbe al sistema di mantenersi in piedi sarebbe una maggiore capacità produttiva. Ma allora non si spiegherebbe la risposta schizofrenica al ‘surplus’ produttivo che imporrebbe ai contadini di uccidere bestiame o distruggere tonnellate di latte e frutti della Terra affinchè il prezzo delle materie prime riesca a mantenersi profittevole.
Profittevole per chi?
Certo non per i milioni di persone che rimangono affamate e stritolate da un sistema che ci pretende affamati e servizievoli e che viene giustificato proprio da chi fa della lotta alla fame nel mondo la propria bandiera[11]
Chiara Madaro – 23 luglio 2022
Spiegazione chiara e semplice .Problema che potrebbe diventare anche nostro
Infatti, alcune monocolture sono presenti anche da noi e Monsanto è entrata anche nella nostra economia.
Si,grande verita’..
In qualche misura e protocollo,anche nel “bio “certificato”nelle GDO che diffondono e legalizzano tolleranze additivi ,conservanti e scappatoie alle multinazionali di esistere ed agire comunque nell’insano. Frammenti di verità…non sono Verità nella totalità,i compromessi,non hanno mai portato nulla di buono in modo assoluto.
Si,grande verita’..
In qualche misura e protocollo,anche nel “bio “certificato”nelle GDO che diffondono e legalizzano tolleranze additivi ,conservanti e scappatoie alle multinazionali di esistere ed agire comunque nell’insano. Frammenti di verità…non sono Verità nella totalità,i compromessi,non hanno mai portato nulla di buono in modo assoluto.
E mai lo porteranno se i canoni sono questi