Biowarfare e agricoltura: il danno ambientale come strumento di guerra

Biowarfare e agricoltura: il danno ambientale come strumento di guerra

Così come la guerra di controinsorgenza tende al genocidio rispetto ai popoli, così tende all’ecocidio rispetto all’ambiente[1]: è la bio-warfare.

Una modalità esportabile ovunque attraverso la disseminazione strategica di batteriosi ai danni di coltivazioni di pregio. Le pandemie agricole possono infatti condurre a perdite produttive economiche di immense proporzioni e per tempi sufficientemente lunghi da determinare crisi importanti. Soprattutto se ad essere  colpite sono le piante perenni.

Era ancora il 2000 e l’analista di bio-warfare Casagrande, preconizza come un obiettivo terrorista potrebbe essere un target agricolo di cui un Paese ha particolare orgoglio come gli ulivi spagnoli o le viti francesi[2].

Citando Paul Roger, collega della Bradford University, egli nota come si stia verificando un’inversione di tendenza dei gruppi terroristici rispetto al passato: dall’attacco nei confronti delle persone alla distruzione di proprietà e commercio. Stati ostili possono scegliere l’agricoltura come mezzo per una guerra asimmetrica allo scopo di paralizzare l’industria di una nazione rivale.

I tempi sono importanti: se una malattia tarda a mostrare i segni della sua distruttività, tarderanno anche le misure per contrastarla.

Secondo alcuni studiosi l’introduzione di questi organismi è facile, i costi di eradicazione alti e le probabilità di condurre con successo una eradicazione del patogeno, scarse.

I motivi possono andare oltre le ragioni politiche o religiose.

Il Dr. Hom, dell’Agricultural Research Service, afferma che le armi capaci di affliggere l’agricoltura possono essere usate allo scopo di manipolare futuri mercati con il vantaggio di non provocare un picco emotivo o barriere morali in quanto non viene ucciso nessuno[3].

Secondo il Generale Fabio Mini, “(…) la guerra ambientale è oggi definita come l’intenzionale modificazione di un sistema ecologico naturale (…) allo scopo di causare distruzioni fisiche, economiche e psico-sociali nei riguardi di un determinato obiettivo geofisico o una particolare popolazione. Questa guerra – continua il Gen. Mini – si può avvalere di tutte le forme tradizionali di lotta armata, ma si concentra soprattutto sulle nuove tecnologie e sugli sviluppi della guerra psicologica e dell’informazione, che comprendono il cosiddetto denial: la negazione delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze, degli accessi alle tecnologie e agli strumenti di difesa e salvaguardia.

Sul piano tecnico, la guerra ambientale coniuga la destabilizzazione interna, il “denial”, la distruzione delle fonti di approvvigionamento e l’effetto psicologico della “terra bruciata” che, secondo i pianificatori dell’antica Guerra del Vietnam, doveva indurre rapidamente le popolazioni nemiche a più miti consigli.  Le popolazioni, non le forze militari.

“In materia di negazione, nell’ambito della guerra ambientale – Mini specifica – essa può esprimere potenzialità enormi; ed arrivare al cinismo più disumano, anche se condotta in forma latente e passiva”[4].

Secondo R. Falk, il ricorso deliberato a forme di guerra di tipo ambientale è parte della convinzione militare per cui l’unico modo per distruggere la controinsorgenza consiste nel negare ad essa una copertura, il cibo e i supporti vitali di sussistenza per il paese. E afferma che, negli ultimi decenni, sono state messe a punto tecniche che vanno dall’uso di mezzi meccanici agli erbicidi. Il minimo comune denominatore di tutte le operazioni rimane quello di separare le popolazioni dalla loro terra[5].

L’agricoltura ha, d’altra parte, diverse caratteristiche che pongono vulnerabilità uniche e importantissime per l’economia di un Paese prestandosi ad attacchi ben più subdoli.

È il motivo per cui, di crimini biologici e agro-terrorismo, si parla sempre più insistentemente anche in contesti accademici e di intelligence.

L’impatto biologico, economico e politico dell’agroterrorismo ha generato preoccupazioni a livello globale tali per cui dal 2005 sono stati organizzati 4 Simposi Internazionali sull’Agroterrorismo (ISA).

Il 4^ ISA ha avuto luogo a Kansas City nell’aprile del 2011, organizzato da The Heart of America Joint Terrorism Task Force (HOA-JTTF) e dal Kansas City Division of the FBI[6].

È stato questo il contesto in cui si è provato a definire meglio la tecnica della guerra economica ed è stato notato come esistano almeno 3 livelli di costi associati ad un attacco agroterroristico:

  1. Perdite dirette risultanti da misure di contenimento e distruzione di bestiame ammalato;
  2. Costi di compensazione pagati agli agricoltori per la distruzione di materiale agricolo e perdite sofferte direttamente e indirettamente dall’industria correlata;
  3. Costi internazionali nella forma di embarghi protezionisti applicati agli scambi commerciali imposti dai più importanti partner commerciali esteri[7].

È una realtà riconosciuta anche dalle Nazioni Unite le quali, già il 7 maggio1977, hanno avviato il percorso di ratifica di una Convenzione che bandisca l’uso militare o altri usi ostili delle tecniche di modificazione dell’ambiente come mezzo di distruzione o danno nei confronti degli stati che ne fanno parte[8].

Se uno degli Stati Parti pensa che sia stata violata la Convenzione sul proprio territorio, può sporgere reclamo presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il quale svolgerà delle indagini.

Ratificata dall’Italia con la legge n.962 del 29 novembre 1980 dopo l’adesione del 18 maggio 1977, la Convenzione proibisce ogni forma di modifica ambientale avente effetti estesi, duraturi e severi specificando che deve intendersi per ‘estesa’ un’area di svariate centinaia di chilometri quadrati, per ‘duraturo’ un periodo di tempo pari ad alcuni mesi o ad una stagione e per ‘severo’ quell’atto o complesso di atti capace di provocare danni importanti alla vita delle persone, della natura, delle risorse economiche o di qualsiasi altra attività capace di generare benessere per le popolazioni.

La necessità di elaborare una Convenzione in materia, si avvertì già negli anni 70, quando i devastanti effetti dell’Agente Arancio[9] nella guerra del Vietnam, furono evidenti a tutti.

Secondo l’attivista e scienziata Vandana Shiva, “(…) I veleni chimici utilizzati in guerra vengono riciclati in tempi di pace e distribuiti come fertilizzanti sintetici e pesticidi. L’agricoltura e la produzione alimentare si trovano così a dipendere da armi di distruzione di massa[10].

Ma l’uso di sostanze chimiche di sintesi in agricoltura è solo l’aspetto più evidente di un tema estremamente più complesso e grave.

Un’ulteriore arma è costituita dall’ingegneria genetica, una scienza che è andata ben oltre qualsiasi immaginazione rendendo possibile l’impensabile.

L’autorevole Max Plank Institute for Evolutionary Biology e  l’Institut des Sciences de l’Evolution de Montpellier , fa riferimento ad un programma chiamato ‘Insect Allies’ o insetti alleati, come di una possibile arma biologica.

Il Programma elaborato dal DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) alla fine del 2016 si è basato su di una sperimentazione lunga 4 anni. L’obiettivo consisteva nell’utilizzo di insetti allo scopo di disperdere virus geneticamente modificati nei campi agricoli. Questi virus sarebbero stati ingegnerizzati in modo da alterare i cromosomi delle piante attraverso il ‘genome editing’. Ciò avrebbe consentito l’implementazione rapida  di modificazioni genetiche su larga scala su coltivazioni già adulte in campo aperto. Questi esperimenti sono pressochè sconosciuti perfino tra gli addetti ai lavori e, secondo il Max Plank, le questioni che sollevano, meritano un urgente dibattito allargato alla giurisprudenza ricordando che la Convenzione per le armi biologiche, ratificata da oltre 180 paesi, obbliga i Paesi parti a non sviluppare o produrre mai e in alcuna circostanza agenti o tossine né di utilizzare questo tipo di armi a fini ostili o in conflitti armati [11].

Chiaramente si deve fare una distinzione tra l’introduzione di patogeni con l’intenzione di causare danno economico e il tentativo di causare terrore.

Secondo gli studi disponibili, non esistono casi documentati sull’introduzione di patogeni con esito ‘positivamente dannoso’ in agricoltura ed è in corso un dibattito sia negli Stati Uniti[12] che in Europa inteso a comprendere quali fitopatogeni possano essere classificati come armi.

Alcuni patogeni causano perdite nelle coltivazioni ma sono, in genere, tollerabili. Altri causano danni veramente considerevoli in quanto colpiscono piante dal significativo valore economico e commerciale.

Al momento viene attribuito grande interesse al potenziale offerto dai patogeni delle piante, inclusi i batteri fitopatogeni, in quanto armi biologiche e da bioterrorismo.

È stato riconosciuto che l’introduzione clandestina di alcuni batteri fitopatogeni possa causare perdite nelle coltivazioni ad un livello tale da determinare un impatto significativo sull’economia nazionale e quindi costituire una minaccia alla sicurezza nazionale. Parallelamente è stata avanzata l’ipotesi che possano causare un serio allarme pubblico.

La legislazione internazionale sta disciplinando la selezione di batteri fitopatogeni in quanto armi potenziali. Ma non tutti i batteri fitopatogeni hanno i requisiti per rientrare nella classifica dei patogeni da bio-warfare.

Importante, in tale contesto, rammentare l’importanza del dialogo tra la scienza, la giurisprudenza, l’intelligence, la politica.

A questo punto non è secondario rammentare in proposito come la sequenziazione di batteri o altri organismi fornisce importanti informazioni sui viventi ma ne permette anche la modificazione delle caratteristiche e dei comportamenti rendendo ogni volta vano ogni sforzo teso a mettere ordine nella materia. Le tecnologie in possesso della scienza, consentono, infatti, di operare modifiche in base alle necessità.

Secondo i più recenti studi, tra i batteri, Liberibacter spp. e Xylella fastidiosa, entrambi patogeni per gli agrumi, potrebbero essere considerati tali da soddisfare i criteri proposti per le armi biologiche[13]. Questi batteri si servono anche degli insetti vettori per viaggiare[14].

È, infatti, la combinazione ospite-patogeno ad essere oggetto di discussione quando si parla di armi biologiche in agricoltura. Alcuni studi propongono, appunto, che affinchè sia classificato tra le armi biologiche, un batterio debba produrre un danno su scala nazionale, debba essere introdotto in maniera deliberata, clandestina e da avversari politici ostili[15].

Secondo uno studio sui fitopatogeni in quanto arma da biowarfare, si propongono tre criteri applicati alla perdita di coltivazioni, ognuno dei quali deve essere raggiunto affinchè un batterio fitopatogeno possa essere considerato una potenziale arma biologica:

1. Deve essere capace di causare devastanti e durevoli perdite epidemiche ad una coltivazione e su scala nazionale. Ciò a dire che, sebbene una perdita di coltivazioni può essere confinata ad una regione, la dimensione della perdita deve essere tale da raggiungere rendimenti antieconomici o improduttivi. Rendimenti che sono inadeguati rispetto a standard nazionali o riguardano un commercio importante a livello nazionale;

2. Non deve essere ancora presente nel paese o nelle aree di produzione primaria prese in considerazione;

3. Il patogeno deve causare perdite che non possono essere assorbite dalla sostituzione con altre coltivazioni o ottenendo il prodotto coltivato da un’altra risorsa”[16].

Ancora secondo questo interessante studio: “(…)non è così inimmaginabile che questi o altri patogeni possano essere introdotti in atti di sabotaggio industriale internazionali. L’introduzione può verificarsi con l’intenzione di causare perdite rispetto alle rendite in modo da ridurre la competizione del prodotto o per imporre o rimuovere barriere non tariffarie”[17].

Le notizie riguardanti esperimenti riservati sui batteri da parte di alcuni laboratori statunitensi si fanno sempre più insistenti. Il risultato poco rassicurante riguardo ad un tipo di batterio capace di metabolizzare il petrolio ma anche la carne umana, non ha fermato le sperimentazioni soprattutto in territorio europeo. In particolare gli analisti rammentano come nella guerra di supremazia globale, l’attuale presidente statunitense D. Trump non faccia mistero dell’astio nei confronti del Vecchio Continente e dell’Euro, considerato un pericoloso competitore. In questa ricostruzione geopolitica, si fa menzione alla già citata Xylella fastidiosa, partita all’attacco degli ulivi in Salento, una regione del sud Italia che, da sola, produce un terzo delle scorte mondiali di olio d’oliva con 11 milioni di tonnellate all’anno. La batteriosi ha fatto registrare perdite per 250 milioni di euro[18].

Molti paesi sono sospettati di detenere armi biologiche che abbiano come target l’agricoltura, avendo come obiettivo non tanto l’effetto psicologico del terrore ma quello dell’indebolimento economico. Una volta che un gruppo terrorista abbia ottenuto un’arma capace di danneggiare l’agricoltura, la sfida sarà quella di disseminare il patogeno su un territorio sufficientemente ampio da danneggiare una produzione che occupa una posizione importante nell’economia del paese.

Gli stessi insetti vettore vengono, tra l’altro, considerati armi biologiche come ogni organismo contagioso e diffusivo[19].

D’altra parte è possibile selezionare ceppi ipervirulenti o ingegnerizzare una maggiore virulenza nei patogeni selezionati attraverso metodi molecolari e si afferma l’estrema facilità di approntare l’inoculo di un batterio fitopatogeno attraverso la ‘kitchen technology’ e il rilascio di sospensioni di materiale infetto sminuzzato. D’altra parte, lo spostamento illecito internazionale di un batterio patogeno è relativamente facile con il contrabbando di colture naturalmente o artificialmente infette.

L’idea che gli interessi della criminalità organizzata e delle imprese transnazionali possano collimare con alcuni interessi politici e strategici al punto da arrivare a patti di collaborazione che vanno dal locale al globale, è tutt’altro che peregrina.

Secondo il Generale Mini, un primo livello di indagine, in tal senso, dovrebbe essere diretto proprio su certe assenze dello Stato, certe forme di amnesia e indifferenza da parte delle istituzioni, pur richiamate dalla comunità locali a rispondere e prendere parte attiva in difesa dei territori e delle economie che, attraverso il territorio, riescono ancora e generare. E afferma: “L’assenza di controllo – altra forma del denial,- viene attivamente perseguita anche al di fuori dei campi di battaglia militari , visto che lo spazio della guerra ambientale non è limitato, e avviene in maniera apparentemente incruenta. Periodicamente e sempre più insistentemente alcune industrie premono sui governi affinché siano esentate da vincoli e controlli ambientali. Altre, ancora, eludono le ispezioni e corrompono i funzionari per ritardare l’applicazione delle norme o chiudere il classico “occhio”. Altre, ancora, promuovono leggi teoricamente giuste ma evidentemente inapplicabili o che prevedono sanzioni irrisorie per chi le viola. (…)”[20].

È il caso che, anche in Europa, ogni paese decida con maggior forza di direzionare sforzi strategici verso una pianificazione di lungo periodo e svolgere ricerche e controlli orientati al rafforzamento dei terreni agricoli e alla protezione delle specie vegetali di maggior pregio.

Di Chiara Madaro

[1] Richard A. Falk, “Environmental Warfare and ecocide facts, appraisal and proposals”, Princeton University, First Published March 1, 1973

[2] Casagrande, R. 2000. Biological terrorism targeted at agriculture: the threat to U.S. national security. Nonproliferation Rev. 73:92-105.

[3]  idem

[4] Fabio Mini, “Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, in Limes n. 6/2007, Il Clima dell’Energia, pg 74

[5] Richard A. Falk, “Environmental Warfare and ecocide facts, appraisal and proposals”, Princeton University, First Published March 1, 1973

[6] http://www.homelandsecuritynewswire.com/fourth-international-symposium-agroterrorism-announced

[7] Armin Elbers and Rickard Knutsson, “Agroterrorism Targeting Livestock: A Review with a Focus on Early Detection Systems”, Biosecurity and Bioterrorism: Biodefense Strategy, Practice, and Science Volume 11, Supplement 1, 2013 ª Mary Ann Liebert, Inc. DOI: 10.1089/bsp.2012.0068

[8] Risoluzione 31/72 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite  10 dicembre 1976, “Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques”

[9] Agente Arancio era il nome in codice che venne dato dai militari americani coinvolti nella guerra del Vietnam con lo scopo di stanare il nemico che si nascondeva in mezzo al rigoglioso fogliame riuscendo ad attaccare le truppe statunitensi senza essere visto. L’Agente Arancio altro non è, infatti, se non un erbicida a base di diossina e arsenico che venne irrorato dall’alto tra il 1961 e il 1971 per un totale che si stima in 44 milioni di litri. Questa sostanza provocò danni immediati ma anche effetti a lungo termine che si riflettono nel presente sia all’ambiente che sulle popolazioni locali. La perdita di materia vegetale ha, infatti provocato una grave compromissione del suolo. L’erosione è ancora oggi causa di alluvioni gravissime e distruttive. Ma un’ulteriore conseguenza riguarda gli effetti sulle popolazioni vietnamite e le numerose nascite di bambini affetti da severe malformazioni ed altre patologie.

[10] Vandana Shiva, “Il bene comune della terra”, p.169, 2005, Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano

[11] Max Plank Institute for Evolutionary Biology, “A step towards bioological warfare with insect? A project by research agency of the US Department of Defense could easily be misused for developing biological weapons”, 4 ottobre 2018, in https://www.mpg.de/1231880/darpa-insect-ally

[12] Agricultural Bioterrorism Protection Act of 2002. 2002. Possession, use and transfer of biological agents and toxins. Department of Agriculture, Animal and Plant Health Service. United States Federal Register 67(240):76926-76938

[13] Giuseppe Altieri (Docente di Agroecologia, Fitopatologia ed Entomologia, Istituto Agrario Todi) Pietro Massimiliano Bianco (Servizio Carta della Natura, ISPRA) Valter Bellucci (Servizio Uso sostenibile delle Risorse Naturali, ISPRA) Franesca Floccia (Servizio Tutela della Biodiversità, ISPRA) Carlo Jacomini (Servizio Tutela della Biodiversità, ISPRA) Pietro Perrino (già Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche) Rosalba Tamburro (Dip. di Biologia Ambientale, “Sapienza” Università degli Studi di Roma) Franco Trinca (Presidente dell’Associazione NOGM), “Xylella fastidiosa e olivo”, maggio 2016, su https://www.researchgate.net/publication/303408704

[14] Come riferito in precedenza, la materia è nuova ed in evoluzione per cui, ad oggi, non esistono casi documentati di agenti patogeni utilizzati di proposito allo scopo di distruggere o danneggiare piante perenni pregiate. E’, tuttavia, da rilevare che nel 2010 il pericolo alle porte di Xylella fastidiosa è stato presentato in Europa durante un convegno internazionale tenuto a Bari dall’IAM, Istituto Agronomico del Mediterraneo dal titolo: “Diagnostic and statuory aspect of Xylella Fastidiosa, its vectors and the diseases it is causing”. Nel 2013 scoppia il caso del disseccamento degli ulivi in Salento, di Xylella fastidiosa e del suo insetto vettore, Philaenus spumarius.

[15] Young, J. M., Allen, C., Coutinho, T., Denny, T., Elphinstone, J., Fegan, M., Gillings, M., Gottwald, T. R., Graham, J. H., Iacobellis, N. S., Janse, J. D., Jacques, M.-A., Lopez, M. M., Morris, C. E., Parkinson, N., Prior, P., Pruvost, O., Rodrigues Neto, J., Scortichini, M., Takikawa, Y., and Upper, C. D. 2008. Plant-pathogenic bacteria as biological weapons – Real threats? Phytopathology 98:1060-1065.

[16] idem

[17] idem

[18] Jean Perier, “America’s Runaway Bacteria
How Yet Another US Bio-weapon is Getting Rampant in Europe”, 4 gennaio 2019, https://off-guardian.org/2019/01/04/yet-another-of-americas-runaway-bacteria-is-getting-rampant-in-europe/

[19] Stefano Astorino, “Biotecnologie, guerra biologica e bioterrorismo: nuovi agenti come armi biologiche”, Università degli Studi Roma Tor Vergata, 2012/2013, Facoltà di Ingegneria e Facoltà di Medicina e Chirurgia Master di II livello in “Protezione da eventi CBRNe”

[20] Fabio Mini, “Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, in Limes n. 6/2007, Il Clima dell’Energia, pg 76

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